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Anni fa la rivista del contingente Unifil, operante sulla Blu line, si chiamava Litani. Una scelta non casuale, volta a sottolineare l’importanza di un confine delimitato dal fiume più importante del Libano, il Litani, appunto, che ha connotato la missione delle Nazioni Unite presente nel Paese dei cedri dal 1978.
In corrispondenza del corso d’acqua, lungo circa 120 chilometri, si sono addensate per anni le speranze di uno Stato pacificato, libero da ingerenze esterne e in grado di guardare al futuro con ottimismo. Il sogno lungo il Litani è ormai infranto. Il Libano è stato bombardato pesantemente dall’aviazione israeliana con l’obiettivo di sradicare – come per Hamas a Gaza – Hezbollah. Le forze di difesa israeliane hanno invitato i cittadini del sud del Libano ad oltrepassare il fiume, in direzione Beirut, e mettersi alle spalle - chissà per quanto? - la zona per decenni controllata, militarmente, politicamente e socialmente dal “Partito di Dio”.
Il territorio cuscinetto tra il confine israelo-libanese e il Litani è adesso una delle aree geografiche più importanti e “calde” del mondo. Fino a poco tempo fa, grazie alla presenza del contingente Unifil, ha garantito una relativa tranquillità tra Libano e Israele, come rilevato dal portavoce della missione delle Nazioni Unite, Andrea Tenenti (Il Dubbio del 27 settembre). Il conflitto in corso vorrebbe mettere in crisi la risoluzione 1701 del 2006 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, base della conservazione di equilibri delicati che rischiano di andare a pezzi per sempre.
La missione Onu in Libano è intervenuta ieri con un comunicato stampa molto chiaro, dopo che le forze armate d’Israele hanno notificato ad Unifil la loro intenzione di effettuare “limitate incursioni terrestri in Libano”. Sono stati anche smentiti alcuni politici di casa nostra, che con superficialità hanno chiesto il ritiro dei nostri caschi blu (circa 1.200 militari). «Nonostante questo pericoloso sviluppo – è scritto nella nota di Unifil -, i peacekeeper rimangono in posizione. Stiamo modificando regolarmente la nostra postura e le nostre attività e abbiamo piani di emergenza pronti da attivare se assolutamente necessario. La sicurezza e la protezione dei peacekeeper sono fondamentali e a tutti gli attori viene ricordato il loro obbligo di rispettarla».
Un ulteriore passaggio chiarisce il senso della missione che ha nei villaggi di Naqoura e Shama le sedi principali: «Ogni attraversamento in Libano viola la sovranità e l’integrità territoriale dello stesso Libano e viola la risoluzione 1701. Invitiamo tutti gli attori a fare un passo indietro da tali atti di escalation, che porteranno solo più violenza e spargimento di sangue. Il prezzo da pagare per continuare con l'attuale linea d’azione è troppo alto. I civili devono essere protetti, le infrastrutture civili non devono essere prese di mira e il diritto internazionale deve essere rispettato. Invitiamo fermamente le parti a ribadire il loro impegno nei confronti delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e della risoluzione 1701 del 2006 come unica soluzione praticabile per riportare la stabilità in questa regione».
Giuseppe Paccione, professore a contratto di Diritto internazionale umanitario della Università degli studi “N. Cusano”, si sofferma sul valore del provvedimento preso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite quasi vent’anni fa. «Il congelamento della risoluzione 1701 – dice - può essere definito impraticabile e inefficace per il settarismo libanese delle alleanze politiche di Hezbollah. Questa risoluzione vincola lo Stato libanese a porre fine alle attività militari degli Hezbollah nel suo territorio. Purtroppo, anche se vi è stato il dispiegamento delle forze armate libanesi nel sud del Libano, Beirut non è stata in grado di adempiere agli obblighi della risoluzione che impone di bloccare l’armamento di Hezbollah. Ha così infranto il suo impegno nell’applicare i principi dell’accordo di armistizio israelo-libanese del 1949, che statuisce l’impedimento a Hezbollah di condurre ogni condotta bellicosa contro Israele dal territorio libanese o di avanzare oltre la “Linea blu”, istitutiva di una zona smilitarizzata fino al fiume Litani».
Nel contesto attuale il diritto internazionale continua ad essere un punto di riferimento imprescindibile. «Quando l’organo politico onusiano adottò la risoluzione del 2006 – commenta Paccione -, l’intera comunità internazionale nutrì delle speranze sulle alleanze pro-occidentali che servivano a contenere l’ascesa di Hezbollah. La missione Unifil ha ricordato che l’invasione israeliana in territorio libanese costituirebbe una violazione della sovranità e dell’integrità territoriale, nonché della risoluzione citata. Il contingente dei caschi blu ha esortato le parti a fare un passo indietro, di proteggere la popolazione civile e le infrastrutture civili che non devono essere prese di mira, nel rispetto del diritto internazionale umanitario. Inoltre, il mancato adempimento delle decisioni Onu da parte di Hezbollah non assolve Beirut dalla responsabilità per l’aggressione condotta dal suo territorio. Inoltre, fino a quando l’Onu rimane con le mani legate, Israele non può attendere che il Libano si svegli nell’affrontare la questione di Hezbollah».
In Libano sta per spegnersi la speranza della comunità internazionale che ha creduto nel lavoro delle Nazioni Unite, proteso a preservare la pace. In questa parte del mondo, a due passi da Tiro, in cui è nato il mito di Europa, le porte della guerra si sono di nuovo spalancate.