Quelle di domenica in Svezia saranno elezioni double face. Avranno un peso considerevole sulla situazione interna, dal momento che, salvo clamorose smentite dei sondaggi, il partito socialdemocratico al governo, guidato dal premier uscente Stefan Lofven ne uscirà sempre primo ma clamorosamente ridimensionato: per la prima volta dal 1912 dovrebbe scendere al di sotto del 30% e secondo i medesimi sondaggi di parecchio, sino al 25% con 6 punti in meno rispetto alle elezioni del 2014. Ma sarà anche una sorta di “anticipo” delle elezioni europee di maggior, in un certo senso le prime vere elezioni da che esiste il Parlamento europeo: sinora, infatti, il valore politico delle elezioni europee non è mai andato oltre una sorta di test relativo ai rapporti di forza nei singoli Paesi dell’Unione. A maggio si confronteranno due concezioni diverse, anzi opposte dell’Europa, quella sinora unica di Maastricht, articolata nei due schieramenti tradizionali di centrosinistra e destra moderata, e quella delle forze “sovraniste” di destra bollate di “populismo”.

La versione svedese della Lega italiana o del Front National francese si chiama Sd, Svedesi Democratici, e ambisce a sfiorare o forse anche a oltrepassare il tetto del 20% partendo dal 12,9% ottenuto nel 2014. I centristi del Partito Moderato aveva raccolto quattro anni fa il 23% ed è dato ora dai bookmaker al di sotto del 20% di ben due punti.

Il vento che gonfia le vele degli Sd è, come per la destra estrema di tutta Europa, il nodo dell’immigrazione. La Svezia, però, non è un Paese come gli altri: è quello che più di ogni altro, nel 2015- 16, aveva fatto dell’accoglienza dei rifugiati la propria bandiera. Nel 2015 ne sono arrivati 163mila, pari all’ 1,6% dell’intera popolazione. Nel complesso negli ultimi anni gli arrivi sono stati 250mila, facendo così della Svezia il Paese Ocse con il maggior numero di rifugiati pro- capite. La nuova ondata si è aggiunta a una già massiccia presenza di immigrati, che sono oggi più di un sesto della popolazione complessiva. A partire dal 2016 il governo Lofven, un esecutivo di coalizione tra socialdemocratici e Verdi, ha deciso una drastica stretta, riducendo gli arrivi a circa 25mila l’anno.

Il modello di accoglienza svede- se si basa su un welfare capillare che viene quasi immediatamente esteso ai richiedenti asilo e che implica sia l’assistenza sanitaria che il diritto all’alloggio e la concessione di una carta di credito per nutrirsi, vestirsi e curare l’igiene personale. Agli immigrati cui viene riconosciuto il diritto d’asilo, dopo verifiche che non vanno oltre i sei mesi invece che i due anni dell’Italia, è concessa subito la residenza permanente e dopo quattro anni la cittadinanza. Negli ultimi anni sono però state mosse critiche al modello di integrazione, che non sembra funzionare a dovere e costringe quindi i rifugiati a vivere come mantenuti dallo Stato. A far saltare gli equilibri negli ultimi anni è stato soprattutto il dilagare degli scontri tra gang nei ghetti, degli incendi delle auto e delle bombe contro la polizia. Non è una novità ma una pratica che prosegue, intensifi- candosi, da una decina d’anni e che, nonostante faccia molto rumore, incide poco sul tasso di criminalità reale. La Svezia è ancora uno dei Paesi più sicuri d’Europa, ma il moltiplicarsi delle “no- go zones”, quelle chiuse di fatto alla polizia ha portato l’allarme sociale allo zenit, tanto che il premier si è impegnato a mobilitare l’esercito per ripristinare il controllo sui ghetti.

Ma il problema numero uno per gli svedesi non è l’immigrazione: è il deperimento dello Stato sociale e delle condizioni economiche della popolazione. La sanità pubblica va sempre peggio, la penuria di abitazioni è cronica, la diseguaglianza dei redditi alta e centinaia di migliaia di pensionati vive sotto la soglia di povertà. In un Paese che era abituato a vantare uno degli Stati sociali meglio funzionanti al mondo lo shock è molto più profondo che in altri Paesi, e la situazione è peggiorata dall’indebitamento privato, che è tra i più alti d’Europa.

Il problema dei rifugiati ha poco a che vedere con tutto questo. Le gang e in particolare quelle islamiche sono composte per lo più da ragazzi immigrati di seconda o terza generazione. Il problema degli stupri per strada, numerosissimi in Svezia come in Danimarca, è tragico ma, dal momento che il governo non diffonde informazioni sulla nazionalità degli stupratori per evitare impennate di razzismo, è impossibile dire se e quanto sia collegato ai nuovi arrivi. Il crollo dello Stato sociale è dovuto più alle politiche dettate dalla Ue che all’accoglienza, anche se la destra ha gioco facilissimo nell’addossarne la colpa alla necessità di garantire il welfare ai richiedenti asilo.

Il probabile successo degli Sd non comporterà un loro arrivo al governo. Nessuno, infatti, è disposto ad allearsi con loro. Se i numeri lo permetteranno si formerà un governo di grande coalizione sul modello tedesco. Non è facile, almeno stando ai sondaggi, anche perché i comunisti, che dal 5.7% del 2014 potrebbero superare ora il 10%, sarebbero probabilmente indisponibili. In quel caso Lofven darà vita a un governo di minoranza, reso possibile dal sistema costituzionale svedese, il “parlamentarismo negativo”, in base al quale il presidente del Parlamento nomina il premier che non ha bisogno della fiducia e deve invece essere apertamente sfiduciato dalla maggioranza assoluta dei Parlamentari per essere costretto alle dimissioni. I Socialisti democratici di Jimmie Akesson non saranno dunque al governo la settimana prossima. Ma per l’establishment europeo un loro clamoroso successo sarebbe il peggior viatico per le elezioni di maggio.