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La coalizione di centrodestra di Alleanza democratica ha vinto le elezioni politiche in Portogallo. Un’affermazione di strettissima misura, 28,6% contro 28,5% del partito socialista (al potere da dieci anni), praticamente una parità, che apre una fase incerta per il paese iberico in cui non si intravede a breve termine nessuna plausibile maggioranza.
A sparigliare il quadro è l’affermazione sorprendente dell’estrema destra di Chega che con il 18,5% triplica i numeri di quattro anni fa, conquistando 48 seggi parlamentari (Ad ne ha 80, il Psp 78). Chega è guidata dal 41enne André Ventura, un ex professore di diritto e giornalista sportivo noto per le sue posizioni radicali, ammiratore di Donald Trump, Jair Bolsonaro e Viktor Orban, che, oltre ai soliti anatemi contro i migranti e l’Unione europea, in campagna elettorale ha portato avanti una linea ferocemente “anti-casta”, denunciando la corruzione del partito socialista e dell’ex premier Antonio Costa. Ma, sul risultato elettorale portoghese, pesano come un macigno le iniziative e i grossolani errori commessi dalla procura di Lisbona che per molti versi hanno spianato la strada al partito di Ventura.
Tutto comincia lo scorso 7 novembre quando Costa annuncia le sue dimissioni in seguito all’arresto di tre personaggi a lui molto vicini: il capo di gabinetto Vítor Escária, l'imprenditore e amico personale, Diogo Lacerda Machado, e il sindaco socialista di Sines, Nuno Mascarenhas.
Lo stesso Costa era stato coinvolto direttamente nell’inchiesta che i pm lusitani hanno battezzato “Operazione influencer” e che riguarda la concessione di alcuni appalti per lo sfruttamento minerario del litio e dell’idrogeno verde. Il suo nome era infatti uscito fuori in un’intercettazione telefonica e per questo motivo era finito dritto nel registro degli indagati per traffico d'influenza, appropriazione indebita e truffa.
È la prima volta nella storia del Portogallo che un capo di governo in carica rassegna le dimissioni in seguito a un’inchiesta giudiziaria. E probabilmente si è trattato di un gesto troppo impulsivo per un uomo politico che, fino a quel momento, ha avuto una carriera radiosa, amato dalla sua base, stimatissimo nei corridoi di Bruxelles, aspirava a ricoprire cariche importanti all’interno dell’Ue, indicato da molti osservatori come il possibile successore dell’ Alto rappresentante per gli affari esteri Jospeh Borrell.
Perché si è trattato di un gesto eccessivo? Per il semplice e sconcertante fatto che il «Costa» puntato dai magistrati e sbattuto in pasto al processo mediatico non fosse affatto il premier, ma un suo omonimo, ossia il ministro delle infrastrutture António Costa Silva.
Un errore grossolano, segnalato agli organi di informazione dagli avvocati di Lacerda Machado e che, dopo alcuni giorni, la stessa procura è stata costretta ad ammettere pubblicamente. Costa non c’entrava nulla dunque, ma intanto il terremoto politico era in atto, il presidente della repubblica aveva accettato le sue dimissioni e il voto era già stato fissato per il 10 marzo.
Tutto per un banale errore di trascrizione, se si vuole ipotizzare la buona fede degli inquirenti, che ha tirato la volata all’estrema destra di André Ventura. Nel frattempo l’inchiesta ha iniziato a sgonfiarsi in modo clamoroso, sconfessata dallo stesso giudice per le indagini preliminari Nuno Dias Costa che dopo aver letto le carte ha ordinato la scarcerazione degli arrestati, facendo decadere le accuse di corruzione e mantenendo solo quelle per il presunto traffico di influenze con il solo obbligo di non lasciare il Portogallo per la durata dell’inchiesta.