Giura e spergiura che il 45esimo presidente degli Stati Uniti sarà lui, altro che l'algida Hillary Clinton o l'instabile Donald Trump: «Questa campagna elettorale è talmente folle, ma talmente folle che, vedrete, alla fine vincerò».Oltre al senso del paradossso, se c'è qualcosa che non manca nell'entourage di Gary Johnson è il buonumore, un tratto lodevole in questa corsa presidenziale segnata dai veleni e dagli insulti, combattuta in un clima da armageddon che da mesi stressa e logora gli americani. Tanto che, secondo un sondaggio realizzato dal tabloid Usa Today la metà degli elettori è convinta che l'8 novembre, giorno del voto, ci saranno tumulti e violenze di strada.Il pindarico candidato del partito Libertariano è al contrario un volo nella leggerezza, un salutare punto di fuga dai livori della propaganda incrociata. Individualista spasmodico e amante dei grandi spazi, imprenditore di una ditta di costruzioni, ex governatore del New Mexico tra il 1994 e il 2003 per il partito repubblicano, Johnson, prova a vendersi come il classico terzo incomodo, il guastafeste. Con appena il 5% delle intenzioni di voto si tratta di una pretesa immaginifica, ma che importa? Nella sua narrazione il fatto che vincerà a mani basse le elezioni è un dettaglio trascurabile, perché come ama ripetere a tutti: «Sono qui soprattutto per divertirmi».La diversione è una caratteristica centrale nella vita di questo 63enne dal sorriso smagliante, perennemente in scarpe da ginnastica, amante del triathlon, della maratona e della scalate alpine (nel 2003 è arrivato in cima all'Everest) fumatore incallito di cannabis anche se afferma di aver «sospeso» il vizio dall'inizio della campagna elettorale. E sarà forse per onorare il clima da cazzeggio che regna nel partito che lo scorso 31 maggio la Convention libertariana si è conclusa con uno strip-tease sul palco del Rosen Center hotel di Orlando da parte di James Week, candidato alla presidenza e trascinato fuori dalla sala in perizoma a ritmo di musica.Johnson, che fino a un mese fa era ignoto fuori dai confini nazionali, è diventato celebre nel mondo l'8 settembre, quando un conduttore televisivo della Cnn gli ha chiesto cosa pensasse della situazione di Aleppo e che cosa avrebbe fatto se fosse approdato alla Casa Bianca: «Aleppo? Che cosa è Aleppo? » è stata la laconica replica. Che la politica estera non sia il suo forte è il primo a riconoscerlo, ma per lui questo un punto di forza che sottolinea con una dichiarazione da standing ovation per gli amanti del genere: «Il fatto che non conosca i paesi stranieri è una garanzia che non gli farò mai la guerra e che i nostri soldati non rischieranno la vita, non è importante sapere i nome delle cose ma lo spirito con cui le fai! ». C'è da dire che Johnson appare scarso anche nella conoscenza di primi ministri e capi di Stato. Chris Matthews, notista politico della rete Msnbc gli ha domandato se esista un politico di un altro paese meritevole di stima, colto di sopresa Johnson ha balbettato qualche frase a mezza bocca prima di esclamare: «Dannazione, sto vivendo un altro momento alla Aleppo, mi piace il presidente messicano, ma ora non ricordo il nome, ho il buio nella mente». La scrittrice Joyce Carol Oates, autrice di oltre cento opere tra romanzi, sceneggiature e saggi e del pregevole Fururo dizionario d'America, è rimasta affascinata dal personaggio: «Gary Johnson è la nebbia nel cervello in dormiveglia che si mostra impunemente in pubblico, è più confuso e impreparato persino di Donald Trump»A chi gli chiede se non è dispiaciuto di non poter partecipare ai fiammeggianti duelli tv con Clinton e Trump (ci vuole il 15% delle intenzioni di voto in 5 sondaggi nazionali per essere invitati), Johnson risponde che il problema non è il confronto con i rivali sul merito dei dossier, ma il fatto di farsi conoscere dagli americani: «Se venissi invitato a un dibattito potrei anche non dire nulla, mi basterebbe mostrarmi sullo schermo». Un peccato perché Johnson potrebbe dire la sua su molti temi caldi della campagna, dai diritti civili all'economia, dalla sicurezza all'immigrazione. Nato nel 1971 sotto la spinta di un gruppo di fuoriusciti repubblicani ostili alla guerra in Vietnam, il partito Libertariano segue un'idea assolutista, quasi filosofica della libertà, intesa come assenza di ostacoli e impedimenti per l'individuo. Contrari a qualsiasi intervento dello Stato nella vita economica della nazione (escludendo solo la gestione della sicurezza, della giustizia e della difesa) i libertariani sono considerati di ultra-destra nelle politiche economico-sociali e di sinistra radicale sui temi dei diritti civili essendo favorevoli alla liberalizzazione delle droghe, di matrimoni e adozioni gay, all'eutanasia, alla prostituzione, all'aborto, all'accoglienza degli stranieri ma anche al possesso d'armi da fuoco come stabilisce il Secondo emendamento della Costituzione. «Il governo non deve ficcare il naso né nel mio portafoglio, né nella mia camera da letto»Quando Trump ha promesso di costruire un muro alla frontiera con il Messico per impedire agli sporchi "mangia tortillas" di invadere gli Stati Uniti Johnson ha commentato così: «Donald farebbe bene a guardare le Olimpiadi in tv per controllare quanto vanno in alto i saltatori con l'asta messicani». Convinto che la ricerca della libertà sia una pulsione preziosa e insopprimibile dell'essere umano, per Johnson di fronte ai muri che ci troviamo davanti nella vita siamo tutti dei potenziali saltatori con l'asta messicani. Per questo è sicuro che la notte dell'8 novembre il vincitore sarà lui anche se il 45esimo presidente degli Stati uniti sarà un altro, o più probabilmente un'altra.