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President Donald Trump dances after speaking at Macomb Community College, Tuesday, April 29, 2025, in Warren Mich. (AP Photo/Paul Sancya) Associated Press / LaPresse Only italy and Spain
Quella scatenata da Trump con l’imposizione dei dazi non è più soltanto una guerra commerciale. La bufera scoppiata con le minacce, gli ordini esecutivi e l’altalena delle tariffe a livello globale ha anche risvolti legali. La guerra avviata dal tycoon sta riguardando il potere esecutivo, i giudici, senza risparmiare neppure gli avvocati. La Corte federale di New York, specializzata in commercio internazionale, ha stoppato “The Donald”, impedendo di imporre alcuni dei dazi più elevati verso la Cina e altri partner commerciali degli Stati Uniti. I giudici (tre di cui uno nominato proprio da Trump durante il primo mandato presidenziale) hanno esaminato il ricorso di dodici Stati democratici e quello di cinque società. Tutti i ricorrenti si sono dichiarati danneggiati dall’uso improprio del potere esecutivo.
Il primo argomento addotto dalla Corte per il commercio internazionale ha preso in considerazione la legge federale, secondo la quale non può essere attribuita al presidente degli Stati Uniti una “autorità illimitata” per tassare le importazioni di merci dal resto del mondo in mancanza di una situazione di emergenza. Nella sentenza la Corte federale ha rilevato che la Costituzione degli Stati Uniti conferisce al Congresso l’autorità esclusiva di regolamentare il commercio con altri Paesi, prerogativa che non viene annullata dai poteri di emergenza in capo al presidente per salvaguardare l'economia nazionale.
La decisione dei giudici ha tenuto conto di due diversi tipi di dazi ai quali è stato imposto il blocco immediato. La prima tipologia ha riguardato i dazi globali, annunciati il 2 aprile scorso durante il famoso «Liberation Day», con l’applicazione di una tariffa del 10% sulle importazioni da quasi tutto il mondo. Nel momento in cui Trump ha ufficializzato questa scelta ha specificato che le nuove tariffe sarebbero state più alte per decine di Paesi. I dazi reciproci sono stati rinviati al prossimo luglio per oltre 75 Paesi. Una proroga per avviare i negoziati che hanno consentito di alleviare le misure soprattutto nei confronti della Cina. In un primo momento, infatti, le tariffe tra Washington e Pechino hanno toccato il 145%.
Un’altra tipologia di dazi – anche questi bloccati, denominati “separati” e del 25% - ha visto l’intervento della Corte federale nel rapporto tra gli Stati Uniti con Canada e Messico. La misura era stata presa come ritorsione nei confronti di Canada e Messico per aver agevolato, secondo Washington, l’immigrazione clandestina e il traffico di droga sui confini statunitensi. I dazi del 20% alla Cina sono stati invece adottati per il ruolo nella produzione del fentanyl.
La sentenza della Corte ha preso in considerazione l’abuso dei poteri di emergenza da parte di Trump garantiti dall’Emergency economic powers Act (Ieepa), vale a dire la legge del 1977, mai adottata da quarantotto anni da nessun presidente Usa, per imporre dazi giustificati da motivi di sicurezza nazionale. Nella sentenza si afferma che «la Corte non ritiene che l’Ieepa conferisca un’autorità incontrollata». Pertanto, la legge in vigore non consente al presidente di imporre «dazi illimitati su beni provenienti da quasi tutto il mondo». Esclusa invece l’illegittimità dei dazi imposti da Trump su acciaio, alluminio e automobili, poiché non sono stati autorizzati con i poteri di emergenza, ma in base alla legge commerciale del 1962.
Duro il commento della Casa Bianca: «Siamo di fronte a un golpe dei giudici». Un’affermazione che rende l’idea in merito alle tensioni tra i poteri dello Stato e all’approccio del tycoon nei confronti di chi contraddice alcune sue decisioni. Il dipartimento di Giustizia ha già presentato ricorso presso la Corte d’appello federale, senza escludere un ulteriore grado di giudizio davanti alla Corte Suprema se le cose dovessero andare male. Si apre, dunque, la fase dello scontro legale.
In questo clima, caratterizzato da forti contrapposizioni, è intervenuta la più importante organizzazione forense degli Stati Uniti: l’American Bar Association (ABA). Il suo presidente, Bill Bay, ha denunciato in una lunga lettera quanto sta accadendo. «Oggi – dice - è il day after che non avrei mai immaginato di vivere. Attacchi allo Stato di diritto, ai giudici, agli avvocati e alla professione forense. Senza dimenticare il disprezzo per il giusto processo. E ora attacchi anche all’ABA per aver difeso l’indipendenza dei giudici. Tutto questo dal nostro stesso governo. La frequenza e l'intensità degli attacchi non accennano a diminuire».
Il numero uno dell’American Bar Association è preoccupato e al tempo stesso fa leva sull’orgoglio professionale. «Dobbiamo – commenta Bay - tutti batterci per ciò che è giusto. Basta con le minacce contro giudici, avvocati, studi legali e ordini forensi. Basta con il disprezzo per lo Stato di diritto e il giusto processo. Non so cosa ci riserverà il futuro. Probabilmente ci saranno giorni più difficili, più minacce e attacchi. Ma c’è una cosa su cui i cittadini possono contare: l’ABA continuerà a resistere, a parlare e ad agire. Non perché siamo contrari a qualche amministrazione. Ma perché crediamo nella difesa dei principi fondamentali che hanno servito il nostro Paese per 250 anni. Vale a dire lo Stato di diritto, il giusto processo, il nostro sistema giudiziario, la nostra professione».