Uno dei temi forti della campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio superiore della magistratura è, sicuramente, quello dei criteri di nomina dei capi degli Uffici giudiziari. Normalizzato - fin troppo - il rapporto con il potere politico, l’attuale dibattito fra le toghe riguarda quasi esclusivamente materie che toccano da vicino la loro carriera. Essendo alquanto improbabile, infatti, che il nuovo governo Lega e Movimento 5 Stelle possa mettere in campo provvedimenti penalizzanti per la magistratura, la discussione si sta concentrando su materie che ben poco hanno a che vedere con la «politica giudiziaria».

Il primo degli incontri organizzato al Palazzo di Giustizia di Mila- no dall’Anm, a cui hanno partecipato i candidati dei quattro gruppi associativi alle prossime elezioni di luglio, è stato quasi esclusivamente incentrato sulle recenti nomine da parte del Csm. Come riportato ieri sul Fatto Quotidiano da Antonella Mascalì, sulle mailing list dei magistrati sta girando da giorni un documento sul peso delle correnti nella scelta dei capi degli uffici giudiziari. L’ha scritto Autonomia& Indipendenza, la corrente dell’ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo, candidato per un posto a Palazzo dei Marescialli.

Nel documento di A& I sono riportati diversi esempi di nomine “lottizzate”. Tutte senza nomi «perché non sono in discussione le qualità professionali» ma perché «interessa discutere il modo di gestione delle nomine». Alcuni nomi sono comunque intuibili: Giovanni Melillo, diventato procuratore di Napoli dopo essere stato capo di Gabinetto del ministro Andrea Orlando «per oltre tre anni e fino a pochi mesi prima della nomina. L’esperienza fuori ruolo viene ampiamente valorizzata anche al fine di determinarne la prevalenza sul piano del merito e delle attitudini». Donatella Ferranti, ex deputata Pd ed ex presidente della Commissione Giustizia della Camera, finita direttamente in Cassazione «senza alcuna valutazione della Commissione tecnica». Lanfranco Tenaglia, ex parlamentare Pd, diventato presidente del Tribunale di Pordenone «preferito a magistrati titolati, più anziani e mai fuori ruolo, dei quali uno già ricopriva l’incarico di presidente di sezione presso il medesimo ufficio». Secondo A& I «l’assenza di reali regole oggettive e predeterminate nelle scelte consiliari è la chiave di questo super- potere ( delle correnti, ndr) che ha creato un solco profondo tra autogoverno e base dei magistrati». E ancora: «Attivisti di corrente o provenienti direttamente da incarichi fuori ruolo hanno scavalcato magistrati molto più anziani e riconosciuti come più meritevoli dalla comunità dei magistrati…

NEL DOCUMENTO DI A& I SONO RIPORTATI DIVERSI ESEMPI DI NOMINE “LOTTIZZATE”. TUTTE SENZA NOMI «PERCHÉ NON SONO IN DISCUSSIONE LE QUALITÀ PROFESSIONALI».