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L’attacco delle forze della sicurezza organizzata della Repubblica Islamica al funerale della giovane Armita Garavand, durante il quale l’avvocata per i diritti umani Nasrin Sotoudeh è stata picchiata e arrestata, sarebbe stato «pianificato in anticipo». A dirlo è Reza Khandan, marito dell’avvocata iraniana, che si trova ora reclusa nel famigerato carcere di Qarchak, un buco nero di disperazione per i detenuti iraniani. L’attivista è stata arrestata, ufficialmente, perché non indossava il velo in pubblico e, stando all’agenzia di stampa Fars, affiliata al Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche (Irgc), per aver agito «contro la sicurezza psicologica della società», accusa che nemmeno esiste nel codice penale iraniano. Ciò potrebbe dunque essere solo un pretesto per farla finire nuovamente in carcere, dal quale era uscita da mesi per via delle sue condizioni di salute. Sotoudeh, infatti, non ha mai smesso di combattere per il rispetto dei diritti in Iran, senza temere la feroce repressione del regime. Così, dopo la morte della 16enne a seguito del pestaggio ad opera della polizia morale, subito in metropolitana per non aver indossato il velo, ha dichiarato pubblicamente che si trattava di un «omicidio di Stato».
Khandan, ieri, è riuscito a sentire telefonicamente Sotoudeh. Ed è così che è venuto a conoscenza di ulteriori particolari su quanto accaduto domenica. Sarebbero stati alcuni dei presenti poi arrestati a sentire, prima dell’aggressione, gli agenti discutere dell’assalto programmato, che ha portato all’arresto di oltre sessanta persone, la maggior parte delle quali donne. Tra queste Sotoudeh, che è stata brutalmente picchiata, come testimoniato dai numerosi lividi sul suo corpo e dagli occhiali rotti, a conferma del fatto che i colpi erano indirizzati alla testa. «Soffre di mal di testa a causa di ictus multipli», ha scritto Khandan su Facebook, spiegando che la moglie, dopo due giorni di sciopero della fame e delle medicine, ha scelto di desistere riprendendo a nutrirsi. «L'attacco e il pestaggio dei partecipanti sono stati molto più gravi di quello che è stato fatto nei notiziari - ha spiegato il marito -. Hanno sfinito i partecipanti dopo averli picchiati e trascinati lungo la lunga strada sulle lapidi. Circa 50 persone hanno attaccato i partecipanti contemporaneamente, senza che la folla cantasse o facesse alcuna mossa. Almeno quattro parenti stretti di Armita e della sua famiglia erano tra i detenuti identificati al centro di detenzione e poi rilasciati». Tra gli arrestati anche Manzar Zarrabi, che ha perso diversi membri della famiglia sul volo 752 della Ukraine International Airlines, abbattuto l'8 gennaio 2020 pochi minuti dopo il suo decollo dall'aeroporto Internazionale di Teheran-Imam Khomeini dal Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane. Zarrabi, come Nasrin, non portava il velo e pertanto, una volta raggiunto il tribunale di sicurezza statale di Shahid Moghadas, nella prigione di Evin a Teheran, le due donne sono state detenute per più di due ore in un’auto della sicurezza statale. «Dopo ore di tira e molla, insistendo e rifiutandosi di indossare il velo - ha spiegato Khandan -, il procuratore ha portato loro il mandato d’arresto consegnandolo all'interno dell'auto. Questo tipo di indagine non ha alcuna validità o valore legale. In ogni caso, l'ispettore è obbligato a tenere una riunione formale e legale nel luogo ufficiale dell'interrogatorio». La mancanza di un hijab non può dunque ostacolare il regolare svolgimento della procedura, altrimenti nulla. La notte precedente le donne e diversi altri detenuti erano stati trattenuti nel centro di detenzione di Vozara a Teheran, dove Mahsa Amini era stata portata prima di morire tre giorni dopo a causa delle percosse subite mentre era sotto custodia statale. Diverse persone arrestate sono state rilasciate, ma ci sono ancora 23 donne nella prigione di Qarchak, mentre gli uomini sono stati tutti trasferiti nella Great Teheran. Pur essendo stata fissata una cauzione, ha sottolineato Khandan, «alle famiglie è impedito di accettarla».
Sotoudeh, condannata nel 2018 a 148 frustate e 33 anni e mezzo di carcere per aver difeso le donne che hanno protestato contro il velo, era stata rilasciata su cauzione e l'esecuzione della sentenza era stata sospesa per ragioni mediche. «Sospetto fortemente che potrebbero revocarle il congedo medico e costringerla a tornare in prigione - ha spiegato Khandan ai media locali -. Siamo molto preoccupati per questo». E infatti, ha spiegato al <CF512>Dubbio </CF>il suo legale, Mohammad Moghimi, ora «può essere aperto un nuovo caso in aggiunta all’esecuzione della condanna precedente».
«Picchiare e arrestare civili disarmati che piangevano pacificamente l’ennesima morte di una giovane ragazza in custodia statale è una continuazione delle atrocità che il governo iraniano continua a infliggere al popolo iraniano - ha affermato il direttore esecutivo del Center for human rights in Iran, Hadi Ghaemi -. I governi dovrebbero convocare gli ambasciatori iraniani affinché esprimano la loro indignazione e si uniscano per isolare politicamente ed economicamente il governo iraniano mentre questi crimini continuano».