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La civiltà affossi quindi la barbarie. E la proposta cada nel vuoto. Applicarla sarebbe una prepotenza da Inquisizione, e una sconfitta delle Istituzioni, costrette a estremizzare con azioni da regime tota-È litario l’incapacità di estirpare il cancro. Pure, sarebbe un risultato pericoloso, con altri passi acciaccati verso la deriva autoritaria della Giustizia, in atto da tempo in certe aree più a rischio del paese e che avvolge di nebbia fitta lo Stato di diritto, incrina la libertà e la democrazia. Nessuno dovrebbe pagare la colpa del cognome che porta. Di sicuro, non un minore.
Ho conoscenza diretta di famiglie di ’ ndrangheta che hanno deciso e attuato un futuro diverso per i figli, tenendoli estranei, spingendoli allo studio, alle buone frequentazioni, a forgiare pensieri positivi. Ma lo Stato pare non accorgersi della loro esistenza. O non intende accettarlo, per troppa rigidità, per troppe convinzioni che hanno messo crosta fino a deciderle inconfutabili, verità assolute. Non riflette, lo Stato, che i comportamenti repressivi applicati sul mucchio a prescindere, senza alcun distinguo tra chi nella malavita s’immerge mani e piedi e chi invece tende a scansarla, parano davanti a un muro cieco, diventano istigazione a delinquere, perché lasciare ai figli della ’ ndrangheta soltanto lo sbocco ’ ndrangheta impedirà di spezzare il circolo vizioso e perpetuerà la malapianta.
Penso a Peppino Impastato, figlio di un boss di Cosa Nostra. Ha scelto un percorso di onestà e di denuncia, pur vivendo in un ambiente malsano. È in nome suo, e di tanti come lui di cui non c’è memoria solo perché non si sono immolati eroi, che bisogna astenersi dal sopruso amorale che si va profilando.
Anche in nome e in ricordo di Maria Rita Logiudice, la ragazza venticinquenne, bella e fresca di laurea con lode, che si è uccisa gettandosi dal balcone per non aver più sopportato la discriminazione per l’appartenenza a una potente cosca di ’ ndrangheta di Reggio. Allora registrammo le parole di dolore e di contrizione del Procuratore Cafiero De Raho: «Credo che debba toccare la coscienza di tutti… che siamo tutti responsabili di fatti come questo… Persone così possono essere il cambiamento della Calabria… Se noi perdiamo simili occasioni per recuperare la libertà, l’onestà, l’etica, se diciamo ai ragazzi cambiate vita e poi, quando la cambiano, li isoliamo, li emarginiamo, non diamo nessun sostegno, allora non abbiamo più nessuna speranza per il nostro futuro… Dobbiamo fare tutto ciò che è necessario perché tragedie di questo tipo non avvengano più».
Peppino e Maria Rita – e chissà quanti altri non noti alle cronache – sono la prova che non c’è automatismo tra il crescere dentro una famiglia di mafia e il diventare mafiosi. Comunque, pure a voler ammettere che i più di quegli innocenti di oggi da adulti non condurranno vite da innocenti, valgono i pochi, è più importante che, pur di colpire il resto, non si penalizzino i Peppino e i Maria Rita.
Chi va a decidere tenga nella giusta considerazione i piccoli dal cognome scomodo che verrebbero a essere privati del diritto alla famiglia. E non trascuri le esternazioni del Procuratore su una figlia della ’ ndrangheta che inseguiva e coltivava civiltà. Non commetta l’errore di lasciare che restino parole vuote. Non trasformi le lacrime di allora in lacrime di coccodrillo.