Nel discorso del debutto, la prima donna che guida un governo nella storia d'Italia doveva rassicurare la sua maggioranza i suoi elettori e il suo mondo di riferimento sulla natura strettamente politica, e dunque compiutamente di destra, del suo ministero. Era un compito reso necessario dalle numerose aperture a un metodo, ma anche a una sostanza, quasi draghiani e dalle rassicurazioni fornite in abbondanza alle istituzioni sia italiane che europee. Ma era anche una missione resa ardua dall'impossibilità di promettere risultati a breve e anche solo di fissare un calendario per gli interventi illustrati. Al contrario, la premier ha notificato, quasi tra le righe, che la contingenza grave, la crisi gravissima, non permetterà di inserire provvedimenti forti nella legge di bilancio e sul fronte fiscale non andrà oltre quel che avrebbe fatto anche Draghi: portare a 100mila euro il tetto per la Flat Tax degli autonomi.

Giorgia però ce l'ha fatta lo stesso, a partire da un attacco frontale contro la «vigilanza sui diritti» sulla quale insiste la Francia, Macron incluso applaudito freneticamente da Salvini mentre Tajani, palesemente imbarazzato, teneva le mani a posto. Ha anzi alzato la posta, attribuendo proprio alle maggioranze strane degli ultimi 10 anni, a una serie di governi e maggioranze non scelti dagli elettori e dunque non politici, la stagnazione del Paese nel medesimo decennio.

L'orizzonte che la presidente del consiglio ha delineato è omogeneo. Sul fronte istituzionale assicura che la riforma presidenzialista si farà, a partire dal modello semipresidenzialista francese ma aperta anche a altre ipotesi. Senza però rendere il consenso dell'opposizione vincolante: se ci sarà bene sennò avanti lo stesso, certo pagando alla Lega il tributo dovuto, l'autonomia differenziata. Per quanto riguarda fisco ed economia, l'impostazione neoliberista è orgogliosamente proclamata. Affermare che il motto del governo sarà «Non disturbare chi vuol fare» è la versione 2.0 del classico Laissez- Faire. L'annuncio di una sanatoria fiscale prossima ventura e poi, ma chissà quando, di una vera «tassa piatta» vanno nella stessa direzione. L'attacco durissimo al rdc completa un quadro senza dissonanze.

La donna sospettata di voler colpire duro i diritti delle donne e civili in genere ha respinto le preventive accuse: «Si vedrà nei fatti chi in campagna elettorale mentiva su diritti civili e aborto». Non ci sono veri dubbi in proposito. Giorgia Meloni è troppo intelligente ed esperta per imbarcarsi in una devastante campagna contro l'aborto o diritti. Ma l'impostazione familista è poderosa e il nesso assai sottolineato fra centralità della famiglia e natalità basta e avanza per chiarire che per l'inquilina di palazzo Chigi di famiglia ce n'è una sola, quella tradizionale. Altrettanto perentoria la scelta, peraltro scontata, sull'immigrazione: che lo si chiami «blocco navale» oppure, come ha preferito fare la premier, «terzo punto mai applicato degli accordi di Sophia» la sostanza non cambia. Quanto alla giustizia, i riferimenti alla sicurezza e alla certezza della pena erano scontati ma sulla giustizia la presenza di Fi in maggioranza e di Nordio alla Giustizia renderà probabilmente le scelte del governo più sfumate e forse contraddittorie.

Due passaggi di un discorso comunque importante non erano del tutto previsti: l'attacco in realtà frontale alla strategia con cui i governi precedenti hanno affrontato il Covid, con tanto di impegno a dar vita a una commissione parlamentare d'inchiesta e l'affermazione di non aver mai avuto simpatie per il fascismo, accompagnata al durissimo anatema, invece prevedibile ma sincero, contro le leggi razziali. Eppure quella “sorpresa” non ha nulla di sorprendente: per la leader di FdI la continuità, rivendicata di fatto anche ieri, non è con il ventennio o con Salò ma con quel Msi di Giorgio Almirante che ieri ha definito senza mezzi termini «destra democratica» e non a torto, anche se i rapporti tra il partito della Fiamma e il fascismo sono in realtà ben più sfumati di così.

Il capitolo più delicato, nonché quello oggi più centrale, è la politica estera. L'atlantismo di questo governo sarà a prova di bomba, fosse pure nucleare. L'europeismo però è un altro paio di maniche. La presidente italiana giura che rispetterà le regole che ci sono oggi, ma anche che farà il possibile, alzando spesso la voce, per cambiarle. Non per frenare l'integrazione ma per realizzare quell' «unità nella diversità» che è il suo modo di declinare l'Europa delle nazioni. La premier insomma si inserisce a pieno titolo nella filiera iper-atlantista composta da Usa, Uk e paesi dell'est, Polonia in testa, ma anche in quella visione dell'Europa egemone all'est che è molto diversa dal progetto sin qui egemone partorito dai Paesi fondatori dell'Europa occidentale.

Non si può accusare la leader della destra di non aver messo sul tavolo una posta chiara e politicamente connotata. Se poi riuscirà a vincere la scommessa, superando ostacoli enormi come le divisioni della sua maggioranza, la malcelata ostilità di Francia e Germania, le difficoltà oggettive di un Paese fermo e sopraffatto dal debito, l'immobilismo di possenti aree della sua maggioranza, lo si vedrà in futuro. Certo non di una sfida facile si tratta.