“Zionists not welcome”, i sionisti non sono benvenuti, monito lanciato dalla ristoratrice di Napoli ad una coppia di turisti israeliani in visita alla città. Peraltro, la turista, Gili Moses, come poi abbiamo appreso, non è una fan di Netanyahu, al contrario, essendo parte del direttivo nazionale di Democratim, piccolo (4 seggi su 120 alla Knesset) ma combattivo partito di sinistra e affiliato all’Internazionale Socialista. Ovviamente all’opposizione del governo Netanyahu.

L’interdetto della ristoratrice è poi stato riprodotto su adesivi distribuiti ai negozianti di Napoli da militanti pro Palestina, evidentemente considerando il termine sionista in senso dispregiativo. Se però vogliamo andare al suo significato proprio, questo è legato al movimento che, a fine ‘800, si proponeva di costituire una patria per gli ebrei, un luogo nel quale si potessero sentire al riparo da persecuzioni e discriminazioni. È solo il caso di ricordare che Herzl, il fondatore del sionismo, scrisse il suo “Stato ebraico” negli anni dell’affare Dreyfuss. La Shoah era ancora lontana, e la Francia era tra i Paesi più avanzati e civili al mondo, eppure l’antisemitismo era ben vivo.

D’altro canto, le persecuzioni contro gli ebrei non sono prerogativa occidentale, nonostante si senta spesso ripetere che gli ebrei, nel mondo musulmano, vivevano benone. Non vero, come per esempio ci racconta Bensoussan nel suo “Gli ebrei nel mondo arabo” e come mostrato dal fatto che, ora, praticamente non ci sono più ebrei nei Paesi islamici quando erano centinaia di migliaia dopo la II guerra mondiale. Esodo, spontaneo o forzato, poco compatibile con supposte ottime condizioni ambientali.

Il sionismo, quindi, altro non è che la fondazione di una patria per gli ebrei o, per usare i termini usati dal ministro degli esteri britannico Balfour, una national home e questa casa, o focolare, nazionale poi divenne, nel 1948, lo Stato d’Israele. Insomma, non si scappa: dichiararsi antisionisti significa negare la legittimità dello Stato d’Israele, e la lotta al sionismo, per esempio, è il punto qualificante degli statuti di Hamas.

Molti di coloro che usano il termine sionista in senso altamente dispregiativo, forse non auspicherebbero mai la distruzione dello stato di Israele e, assai probabilmente, immaginerebbero altro. Eppure quel termine, usato in maniera così disinvolta, è ormai entrato nel linguaggio comune e, in queste ore, è pure affisso sulle vetrine di molti negozi. Le parole, a volte, sono peggio della dinamite.

E quindi, chi è colui che non è persona grata in quei negozi? Ovviamente i sionisti che, però, se ci si riflette, sono tutti gli ebrei di Israele e questo perché un cittadino di Israele a tutto pensa fuorché a distruggere la sua nazione. Non è pertanto gradito chiunque sostenga il diritto di Israele di esistere, vale a dire non solo gli ebrei israeliani, ma tutti gli ebrei che difendono il principio di esistenza in vita dello stato ebraico.

Problema serio, quindi: gli ebrei, per non risultare sgraditi, sarebbero tenuti a nascondersi, oppure ad andare in giro con cartelli che dichiarino “sì, sono ebreo, ma sono anche antisionista”? Sarebbe quindi richiesta all’ebreo, in quei negozi, la dissimulazione di sé oppure una sorta di dissociazione, se non abiura?

Inquietante déjà-vu. Dopo il nazismo, l’antisemitismo ha assunto una nuova connotazione: coincide con l’approvazione di Hitler e dei lager. Chi non è nazista, quindi, si ritiene immune dal pregiudizio anti ebraico. Questa, però, è una semplificazione recente, mentre l’antisemitismo ha 2000 anni di disonorata storia alle spalle, ben precedente a Hitler e al nazismo. Pare a me che uno dei tratti dell’antisemitismo storico sia quello di considerare i singoli ebrei portatori di una colpa ancestrale e collettiva, una sorta di peccato originale, per esempio il deicidio. Colpa dalla quale potevano emendarsi battezzandosi o professando fede musulmana, in poche parole abiurando. In mancanza, ricadevano sui singoli le colpe ancestrali e collettive: se scegli di essere ebreo, si ragionava, allora non smentisci i tuoi avi deicidi.

L’immagine dell’ebreo che entra in un negozio di Napoli dichiarando a gran voce di non essere sionista, inutile dire, evoca non poco il concetto di colpa collettiva per la quale è richiesta l’ammenda individuale. Qualcuno dirà che antisionismo è una cosa, antisemitismo altra, eppure i due insiemi tendono, in questo caso, pericolosamente a sovrapporsi.

Forse, prima di esprimere solidarietà incondizionata alla ristoratrice, la coniatrice del “Sionisti non benvenuti”, Laura Boldrini o Sandro Ruotolo della Segreteria del PD, avrebbero fatto meglio a tirare un gran respiro e contare sino a 10. Qui non si tratta di criticare Netanyahu e condannare la ventilata pulizia e sostituzione etnica a Gaza, critiche e condanne alle quali, personalmente, aderisco, qui si entra, come elefanti in cristalleria, in un terreno molto insidioso e pericoloso.