L’originario progetto della Procura antimafia di Firenze era probabilmente quello di prendere due piccioni con una fava e di fare dei fuochi d’artificio ad alta visibilità: due avvisi di garanzia, uno a Berlusconi, l’altro a Dell’Utri come mandanti delle stragi mafiose del 1993.
A parte l’effetto mediatico, ci sarebbe stato anche un effetto politico notevole: lo storico leader del centrodestra e comunque il capo di uno dei tre partiti fondamentali del governo, sarebbe stato accusato di essere un mandante di attentati: un botto politico non da poco, altro che la Santanchè.
Sennonché, per un estremo e anche tragico paradosso, Berlusconi ha fatto un dispetto a questi magistrati che lo hanno braccato dal ’94 ad oggi e ha vanificato l’obiettivo finale della Procura di Firenze. Rimane evidentemente aperta tutta un’altra questione che riguarda la politica e specialmente la memoria. Essendo venuto meno l’obiettivo principale, ora si punta a Marcello Dell’Utri. Però siccome uno degli obiettivi fondamentali di tutta questa storia è quello mediatico, già oggi è evidente che i primi effetti sono molto ridotti. Repubblica è rimasta appesa al suo annuncio ma non ha né sconvolto l’opinione pubblica, oramai assuefatta a questi fuochi d’artificio, né ha trascinato per ovvie ragioni giornali concorrenti su questo terreno.
Ma, a parte queste osservazioni in un certo senso preliminari, veniamo al merito. In primo luogo si tratta di una minestra riscaldata perché nel passato ben altre quattro volte ipotesi di reato di questo tipo sono state avanzate e respinte dalla stessa magistratura. Innanzitutto l’ipotesi processale non sta in piedi neanche dal punto di vista della vicenda politica e dell’andamento delle stesse operazioni criminali della mafia. Il primo attentato, quello di via dei Georgofili, è del 27 maggio 1993. Allora neanche lontanamente Berlusconi pensava di entrare in politica, tant’è che anche nei mesi immediatamente successivi egli interpellò Mario Segni e Mino Martinazzoli affinché scendessero loro in campo. Ciò è confermato anche dal libro di memorie di Dotti che poi con Berlusconi arrivò ad uno scontro frontale.
Colta questa sfasatura temporale, che non è cosa da poco, c’è poi la questione di fondo: come si può pensare che alcuni attentati e più di 200 morti (bisogna conteggiare gli effetti degli attentati falliti: quello contro Maurizio Costanzo e quello all’Olimpico che avrebbe dovuto colpire circa 200 carabinieri) avrebbero avuto l’effetto ipotizzato nell’avviso di garanzia a Dell’Utri, cioè la destabilizzazione del governo Ciampi e poi la vittoria elettorale e politica di Berlusconi?
Nessuno poteva ipotizzare in anticipo quali sarebbero stati gli effetti di attentati che avrebbero dovuto provocare la morte di centinaia di persone, fra cui un numero molto rilevante di carabinieri. Sarebbe potuto avvenire esattamente l’inverso di quello ipotizzato. L’opinione pubblica, terrorizzata dal massacro di un numero rilevante di carabinieri, avrebbe potuto stringersi proprio intorno al governo in carica presieduto da un personaggio della statura di Carlo Azeglio Ciampi che anzi sarebbe stato una sorta di usato sicuro mentre nessuno considerava Berlusconi come una personalità particolarmente attrezzata ad affrontare una situazione di emergenza sul terreno dell’ordine pubblico.
Poi vanno esaminate le conseguenze successive. Qualora Berlusconi fosse arrivato al governo anche grazie a chi aveva provocato la morte di un numero rilevante di persone, sarebbe stato totalmente nelle mani della mafia. Ovviamente la mafia avrebbe chiesto l’immediato cambiamento delle leggi da essa aborrite e in primo luogo il 41 bis. Invece è avvenuto esattamente il contrario. Berlusconi e i suoi ministri dell’Interno e di Grazia e Giustizia hanno ulteriormente accentuato la gravità delle leggi antimafia. A questo proposito prendiamo in considerazione la testimonianza di un personaggio al di sopra di ogni sospetto per quanto riguarda i suoi rapporti con Berlusconi: Pietro Grasso, da presidente del Senato, pur di favorire l’estromissione di Berlusconi, ha consentito forzature inaudite. Contro Berlusconi fu fatta valere la legge Severino con applicazione retroattiva (la legge era del 2012, il reato fiscale per cui Berlusconi fu condannato risaliva al 2002).
Tuttavia le cose non si fermano qui. Allora, in sede di dibattito, i grillini chiesero che venisse eliminata la clausola del voto segreto e Pietro Grasso li seguì totalmente. Ebbene Grasso, da presidente dell’Antimafia, il 13 maggio del 2012 così si espresse: “Darei un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia. Ha introdotto delle leggi che ci hanno consentito di sequestrare in tre anni moltissimi beni di mafiosi. Siamo arrivati a quasi 40 miliardi di euro”.
A questo punto, qualche persona di buon senso può pensare che qualora Berlusconi avesse usufruito di quel “contributo stragista” da parte della mafia poi avrebbe potuto fare il furbo in questo modo sul terreno legislativo? Non oggi, a ricasco delle spericolate iniziative di Giletti, ma anni fa, con Berlusconi ancora al governo, non uno ma dieci Baiardo avrebbero latrato nei suoi confronti esprimendo ricatti di tutti i tipi. Se tutto ciò non è avvenuto, ciò vuol dire che le cose sono andate in senso opposto a quello ipotizzato in questo avviso di garanzia. D’altra parte, siccome viviamo in Italia e non in Colombia, nessuna persona normale può pensare di riuscire a farsi strada sul terreno del consenso politico ed elettorale a colpi di attentati e di carabinieri uccisi. Solo i mafiosi nella versione corleonese hanno pensato di poter fare nei confronti dello Stato la stessa operazione che con successo avevano realizzato all’interno della mafia uccidendo migliaia di appartenenti alle cosche rivali e quando, prima ancora del ’93, hanno adottato questa linea estremista nei confronti dello Stato andando incontro a una serie di terribili disfatte testimoniate dal fatto che centinaia di essi sono ancora all’ergastolo e al 41 bis. Ciò è avvenuto malgrado che qualcuno ha cercato di intorbidire le acque con quella trattativa Stato-mafia azzerata non solo dalla Cassazione ma dalla realtà di ciò che ai capimafia è successo dagli anni Ottanta ad oggi.
Purtroppo un ristretto nucleo di magistrati pensa di trasferire sulla politica le tecniche stragiste dei mafiosi malgrado essi siano andati incontro ad una evidente disfatta. Purtroppo c’è un estremismo giustizialista che è la malattia infantile di uno spicchio di magistratura inquirente, di alcuni appartenenti alla polizia giudiziaria e di alcuni cronisti giudiziari.
Sono passati tanti anni con vittorie e sconfitte del Berlusconi politico. Possibile che costoro ancora non abbiano capito che le vere bombe di Berlusconi stavano nella novità costituita dal suo personale carisma, dai messaggi nazional-popolari espressi dalle sue tv, dalla sua capacità nell’uso politico di una grande squadra di calcio? Altro che tritolo. A volerci mettere un po’ di fantasia potremmo dire che si è trattato perfino della traduzione nazional-popolare del pezzo più imprevedibile e più fuori dagli schemi del ’68. I magistrati, invece dei papielli di Totò Riina e di Ciancimino junior, leggano il libro di Mario Perniola dal titolo “Berlusconi o il ’68 realizzato”.