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L’estate della violenza bruta sulle donne ci lascia la sensazione che l’orrore che abbiamo provato sia sterile. Il Giudice di Firenze ha assolto i violentatori di una ragazzina fatta ubriacare e poi stuprata, perchè avevano male interpretato l’atteggiamento della vittima; a Piano di Sorrento Anna Scala è stata brutalmente assassinata dall’uomo che aveva denunciato per le violenze subite; a Palermo si è raggiunto l’apice con lo stupro di una ragazza ad opera di sette ragazzi, dei quali uno nella veste di adescatore e cine-operatore. Questi fatti, che non saranno gli ultimi né i più efferati, hanno scatenato le reazioni emotive, talvolta ai limiti dell’isterismo, di chiunque abbia la possibilità di farsi ascoltare ma, su tutte, si è levata forte e chiara la voce del padre della ragazza del cosiddetto 'stupro di Capodanno', che con la lettera a aperta scritta alla vittima di Palermo, pubblicata sul Corriere della Sera, ha illuminato il 'dopo', la vita spezzata, le illusioni perdute, i sogni infranti di chi lo stupro lo subisce.
Se davvero si volesse fare educazione sessuale a scuola si potrebbe cominciare col far leggere a voce alta nelle classi quella lettera e magari, per i più duri di comprendonio, fargliela copiare a mano come si faceva una volta quando si voleva che i concetti fossero bene appresi. Ma il tema della violenza non evoca soltanto quello dell’educazione nelle scuole, ma anche quello - ben più ostico e dimenticato - della ri-educazione degli operatori, Magistrati e Avvocati compresi. Tra questi, infatti, sono ancora numerosi gli alfieri del ' se l’è cercata'. Questo concetto è ancora accompagnato da corollari altrettanto inaccettabili, come quello con cui si consiglia alle ragazze di non ubriacarsi per non incontrare i 'lupi', ed altre simili espressioni che servono a fare intendere che la responsabilità primaria della violenza subita dalle donne è delle donne stesse.
Ascoltando queste opinioni tornano alla mente gli argomenti difensivi dei massacratori del Circeo, ma anche l’indimenticabile arringa di Lagostena Bassi il cui spirito va invocato oggi più che mai per ricordare a tutti che ' una donna ha il diritto di essere quello che vuole senza bisogno di difensori'. Il film del processo fu mandato in onda due volte dalla Rai, nell’aprile e nell’ottobre del 1979, e fu visto complessivamente da dodici milioni di italiani ai quali fu offerta la possibilità di capire e di riflettere sulla realtà, molto più di quanto il confuso dibattito di questi giorni sia in grado di fare. Ed è proprio questo costante 'rumore di fondo', nel quale si agitano antichi pregiudizi e nuova ignoranza, a darci la certezza che altro orrore ci attende.
Se davvero c’è qualcuno che vuole contrastare con risultati tangibili la violenza di genere, rifletta sul fatto che parlare di 'fenomeno culturale' in questo Paese significa rassegnarsi ad attendere tempi storici, mentre per introdurre concrete azioni positive che determinino il cambiamento è necessario investire risorse economiche e umane. Non bastano due orette di conversazione scolastica e non basta un corso di formazione sul 'codice rosso', servono tutor, vigilanza notturna, gruppi di lavoro e formazione, corsi universitari, convenzioni con gli operatori economici e molte altre iniziative che non sono difficili da immaginare e progettare, ma non sono a costo zero.