Non convince la mossa del Pd alla Camera lo scorso 18 luglio di uscire dall’aula e non votare l’emendamento che avrebbe minato la proposta di legge di estrema destra che vuole la maternità surrogata come reato universale e la sua perseguibilità penale in Italia anche ove sia stata eseguita all’estero, laddove essa sia legittima.

Il tutto è avvenuto a fronte di un emendamento del rappresentante di +Europa, Riccardo Magi, volto da un lato a garantire la trascrivibilità di entrambi i genitori dei nati da GPA e dall’altro ad ammettere anche in Italia la maternità surrogata solidale, vale a dire non commerciale ossia senza pagamento della prestazione della donna che si è fatta carico della gravidanza. Naturalmente, l’emendamento è stato bocciato con 187 voti contro 124. Non sarebbero bastati neppure tutti i 59 voti dei deputati del Pd usciti dall’aula per farlo passare.

Ma ciò che ha suggerito questo strano modo di procedere è stato il più che fondato timore che molti del Pd potessero convergere con la maggioranza. Timore non scongiurato nemmeno da un’astensione, alla quale quegli stessi scontenti del Pd avrebbero potuto sottrarsi e convergere con lo schieramento di destra. Meglio dunque fuggire da simili “insidie” e dare l’ordine – controllabile dall’alto – di uscire dall’aula. Insomma, darsela a gambe.

Uscire dall’aula, dunque, primo errore. Se siamo sinceramente convinti che il voto su simili temi sia una questione strettamente etica, che implica una libertà di voto, allora, meglio praticare questa libertà e poi ci si confronterà sul risultato e si faranno i conti. Senza paura, tanto più che il risultato finale purtroppo non sarebbe variato. Meglio dunque prendere posizione apertamente che nascondersi dietro un’uscita codarda. Ma il nodo, evidentemente, non sta tanto in questa assurda espressione di non-volontà legislativa.

L’emendamento Magi toccava due questioni (trascrivibilità dei figli e GPA solidale) su cui un partito che si dice aperto al nuovo e ai diritti non può rimanere insensibile. Sappiamo benissimo che nel Pd vi sono anime di beghine (ci sono anche nel femminismo lesbico) e beghini: per carità, anche loro hanno diritto di esistere, ma le loro posizioni vanno combattute e la direzione politica di Schlein non può rimanerne prigioniera. Sappiamo che la segretaria deve fare i conti coi nemici interni, ma l’uscita dall’aula ha avuto tutto il sapore di cedere a questo beghinaggio.

Si rimprovera a Schlein di anteporre i diritti individuali a quelli sociali: questo sarebbe il suo vizio di fondo per cui rimarrebbe invisa a molti, soprattutto della ex base storica del Pci. Il che, ci sia consentito di estrapolare, cela malamente un non gradimento di una segretaria donna e per di più lesbica. È vero invece che tutta la tradizione del Pd, i suoi antenati, si sono sempre trovati assai male sul terreno dei diritti individuali. Prima i diritti sociali, poi si penserà a quelli individuali: fu su questa base che il Pci d’antan perse il primo autobus sul divorzio, montandoci solo all’ultima fermata utile; ed ebbe anche difficoltà sul tema del diritto delle donne a decidere loro e solo loro sull’interruzione di gravidanza.

Prima doveva venire il diritto al lavoro e i diritti dei lavoratori, poi semmai si sarebbe guardato a simili questioni secondarie. Intanto però il Paese andava avanti e chiedeva a gran voce nuovi diritti: e li chiedevano anche i lavoratori. Dopo le cose non sono andate molto meglio. Le unioni civili fra persone dello stesso sesso sono arrivate solo grazie all’accortezza e alla abilità di Renzi: vent’anni dopo altri paesi e se si aspettava il corpaccione del Pd saremmo ancora senza. Fu solo grazie a chi proveniva da tutt’altra tradizione che non quella comunista. Ora il fronte è quello della GPA.

Milioni di coppie (mica solo né prevalentemente quelle dello stesso sesso) vorrebbero avere un figlio facendosi aiutare da una donna in grado di portare avanti una gravidanza. Si dice: ma avere un figlio non è un diritto, è solo una legittima aspirazione. Può darsi, ma vallo a spiegare alle coppie sterili che hanno superato i quarant’anni e si vedono sfuggire la possibilità di coronare il sogno di essere padre e madre: sogno medicalmente realizzabile, con l’aiuto di una donatrice e di una surrogata (due donne diverse, ché così è chiaro che la surrogata non ha nulla a che fare geneticamente col nascituro). Un figlio che deve potere essere automaticamente trascritto come tutti i figli: fin dall’inizio di tutti e due i genitori che lo hanno voluto e hanno trepidato per lui come sempre si trepida per una nascita. Un figlio non di serie B, ma della stessa serie di tutti i figli italiani.

Diritti negati o sogni che si infrangono? Difficile distinguere: certamente sono vite che rischiano di spezzarsi non in nome del non volere nuocere a qualcun altro o calpestare un diritto altrui, ma solo per una visione schiettamente di destra della famiglia. Dunque, molto meglio schierarsi apertamente: forse (come per l’emendamento Magi) non si perde, ma anche se si perde si pongono le basi perché l’intera questione della GPA possa trovare una sua adeguata risoluzione. Tanto, lo sappiamo, la questione non finisce con gli orrori di questo governo di ultradestra: sulla legge, che passerà proprio perché è ormai una bandiera ideologica di destra, cominceranno a lavorarci i vari gradi della giurisdizione di merito, poi la Cassazione, poi la Corte Costituzionale (che avrà un gran daffare), poi le varie istanze europee, Corte EDU compresa.

Alla fine della legge tanto voluta da Meloni e Salvini resterà ben poco, come è stato della (molto migliore, a confronto) legge 40. Purtroppo tutto ciò avverrà con anni di incertezze e tormenti e paure di tanti genitori che vorrebbero e potrebbero avere un figlio. Tenga presente tutto ciò il Pd alla Camera.