Più passano i giorni, più Papa Prevost chiamasi Leone XIV si fa conoscere ed apprezzare, rivelandosi peraltro un uomo di grandissima comunicazione, più viene la voglia pur blasfemica di chiedersi se lo Spirito Santo sceso sul Conclave che lo ha eletto in quattro votazioni, o tre fumate, e in un giorno, non sia o non sia diventato puro lui, americano. Questo Papa è arrivato in tempo, con tutti i suoi paramenti sacri, anche quelli dismessi dal predecessore argentino chiamatosi Francesco volendone assumerne e rappresentarne l'umiltà, per mettere l'America - come la chiamiamo generalmente parlando degli Stati Uniti - al riparo dallo shoc procurato dalla seconda elezione di Donald Trump. E dai primi mesi, o settimane, di esercizio del suo mandato quadriennale.

È in fondo sempre frutto dello Spirito Santo americano anche il fatto che una volta tanto, pur essendosi lasciato virtualmente travestire da Papa durante la cosiddetta Sede Vacante, il presidente Trump si sia contenuto nella reazione all'evento nella Cappella Sistina. Non facendo travestire dai suoi vignettisti o simili il Papa da Trump, con un ciuffetto giallo magari sporgente dallo zucchetto bianco, ma compiacendosi della sua elezione e chiedendogli un po' la benedizione, con quell'incontro auspicato per conoscersi direttamente e felicemente. Quanto darei per sapere cosa abbia davvero pensato, e magari ha detto il Papa al suo segretario peruviano Edgar Rimaycuna della reazione di Trump alla sua elezione, o almeno di quella manifestata in pubblico. Mi permetto comunque di credere che ci sta stato lo zampino del Papa nel rapido e sapiente recupero mediatico del suo pensiero, iniziativa

espresso, all'epoca dell'avvio della cosiddetta “operazione speciale” ordinata da Putin al Cremlino più di tre anni fa per “denazificare” l'Ucraina. E normalizzarla in una quindicina di giorni come una sostanziale appendice della Russia, dopo aver già preso la Crimea. Il non ancora Papa né cardinale Prevost vide in quella operazione ciò che effettivamente era: una ripresa dell'imperialismo sovietico. Che d'altronde era già stato servito da Putin quando faceva carriera nei servizi segreti dell'Urss, poi dissoltasi tra le rovine del muro di Berlino. Trump invece vi ha visto ancora di recente, e da parte del presidente degli Stati Uniti, un'aggressione o quasi dell'Ucraina ad una Russia giustamente preoccupata delle aspirazioni di Zelensky all'adesione alla Nato. Evocata purtroppo anche dal compianto Papa Francesco parlando del “cane” che abbaiava alla Russia. Ora le cose sono state rimesse, diciamo così, al loro posto in Vaticano. Forse è la volta che tornino ad essere rimesse al loro posto anche alla Casa Bianca. E non per fare entrare l'Ucraina nella Nato, viste le condizioni o precondizioni delle trattative più o meno in corso per chiudere questa guerra, ma almeno per restituirle il diritto alla vita, protetto ormai anche dalla compartecipazione americana all'estrazione e gestione delle cosiddette “terre rare”. Una circostanza, questa, di sicurezza per l'Ucraina forse ancora migliore della Nato, coi tempi che corrono anche per l'alleanza atlantica.