La morte di Aleksei Navalny può fare effetto sull’opinione pubblica occidentale, ma, con tutta probabilità, lascerà abbastanza indifferente la grande maggioranza dei russi. D’altronde non è una novità la morte (quasi sempre violenta) di oppositori di Putin, o semplicemente di persone non in linea con i desiderata del neozar Vladimir I.

Basti ricordare, senza pretesa di esaustività, l’eliminazione dei giornalisti Yushenkov e Shchekochikhin nel 2003, Politkovskaja nel 2006, Estemirova e Baburova nel 2009, degli avvocati Markelov e Magnitsky, entrambi fatti fuori nel 2009, o di magnati come Berezovsky nel 2013, o di politici come Nemtsov nel 2015, o ancora ex colleghi di Putin (agenti segreti), come Litvinenko nel 2006.

Se per molti di noi la scelta di Navalny di rientrare in Russia nel gennaio 2021, dopo essersi ripreso dall’avvelenamento con il Novichok avvenuto nell’agosto 2020 grazie alle cure ricevute in Germania, poteva sembrare idealistica – così utopisticamente evocativa della vicenda di Mandela, diventato, dopo 18 anni di prigione a Robben Island, presidente del Sudafrica – per la maggioranza dei russi quel gesto rappresentava semplicemente un suicidio, a cui si assisteva tra fastidio e indifferenza. Nessuna sorpresa quindi se, mentre i media occidentali davano la notizia della morte di Navalny come principale breaking news della giornata, molti siti russi facevano fatica a darne conto, a cominciare dal quotidiano Izvestia, uno dei più importanti (alle 16.45 ora italiana ancora nessun cenno in homepage). Ma non tutti i media hanno seguito l’intuibile (ma silenzioso) ordine putiniano di far finta di nulla e pensare ad altro.

Ad esempio, l’autorevole quotidiano economico Kommersant, che ha avuto dall’inizio del conflitto un approccio cerchiobottista, dando spazio alla propaganda ma anche accendendo i fari sui crescenti problemi della Russia, ha riferito della morte di Navalny fin dalle 12.21, segnalando che in data odierna Aleksei si era sentito male dopo una passeggiata nella sua colonia penale IK-3 (soprannominata emblematicamente “Lupo polare”) a Kharp, nella glaciale Jamal-Nenets, in Siberia, aveva quindi perso conoscenza e, pur essendo state eseguite tutte le misure di rianimazione, era stato dichiarato morto dai medici.

La descrizione dei fatti potrebbe non corrispondere alla verità, visto che è stato riferito come Navalny fosse da tempo in una cella di punizione. Va detto che anche la storia della passeggiata è difficile da credere, considerato che d’inverno in quei posti è sempre buio, con temperature massime di -25/30 gradi.

D’altronde è facile immaginare che basta ridurre di poco il riscaldamento della cella, e non dare cibo adeguato, per portare rapidamente alla morte anche Maciste.

Comunque, secondo una fonte di Russia Today la causa della morte più accreditata pare che sia una trombosi. Curiosamente il quotidiano Kommersant ha informato che Putin (che si è sempre rifiutato di nominare Navalny, indicandolo come “quello là”) è stato subito informato del fatto, come se non attendesse altra notizia. Intervistato da Kommersant, Dmitry Peskov, il portavoce del Cremlino, è stato laconico, affermando che ci saranno i controlli per determinare la causa della morte, di cui ancora si sa nulla. Ancora più abbottonato l’avvocato di Navalny, Leonid Solovyov, che ha rifiutato di commentare, prima di partire per la prigione siberiana, limitandosi ad affermare che in occasione dell’ultimo incontro con un altro legale, avvenuto mercoledì 14 febbraio, Navalny sembrava normale.

Vale la pena ricordare che Navalny, condannato inizialmente a 2 anni e 8 mesi per una presunta appropriazione indebita operata da una società da lui diretta (un furto di 10mila metri cubi di legname dalla ditta Kirovles), pochi giorni dopo essere tornato a Mosca nel gennaio 2021, si è visto inopinatamente prolungare la condanna, nel 2022, con ulteriori 9 anni per frode su larga scala, pena poi aumentata nel 2023 a 19 anni per aver creato una comunità estremista.

Il sospetto che le cose potessero finire male, per il principale oppositore di Putin, è sorto a dicembre, quando in modo inaspettato (e immotivato) Navalny era stato trasferito dalla prigione nel villaggio di Melekhovo, vicino Vladimir, a meno di 200 km da Mosca, a quella polar-siberiana, dove si può fare di tutto senza inopportuni testimoni.

Come ha scritto un commentatore della Novaya Gazeta, Anton Oreh, solo pochi avrebbero scelto la strada che ha percorso Navalny. Questa strada è stata descritta nel docufilm su Navalny diretto dal canadese Daniel Roher (e uscito nel 2022) che assume ora il valore di un di testamento, ma anche la prova dell’ingenuità di Navalny, il quale, dopo due tentativi di eliminazione, riteneva di poter ancora realizzare il suo progetto politico in patria.

E ora? Per quanto riguarda le elezioni presidenziali, che si terranno tra un mese, non cambia nulla: la Commissione elettorale centrale della Federazione russa ha eliminato (per fortuna, solo burocraticamente) l’unico vero avversario di Putin, ossia Boris Nadezhdin, leader di Iniziativa civile, l’unica forza politica russa apertamente contraria alla guerra con l’Ucraina. Nella scheda elettorale della prossima elezione presidenziale, oltre all’eterno Putin, vi saranno dunque altri tre candidati, ossia Vladislav Davankov, classe 1984, vicepresidente della Duma ed esponente del partito “Nuova gente” (che propugna innovazioni in campo economico e l’umanizzazione della giustizia); Leonid Slutsky (classe 1968), capo della commissione per gli Affari internazionali della Duma, in rappresentanza del Partito liberal-democratico (una forza nazionalista e populista, che vede l’Occidente come nemico, e aspira a ricreare l’Urss) e Nikolai Kharitonov (classe 1948), proveniente dalle file del Partito comunista russo, aspirante a un teorico socialismo, sebbene notoriamente amante della bella vita basata su ville, auto di lusso e, a quanto pare, numerose amanti.

Insomma, non c’è speranza che la Russia migliori, e non resta che rassegnarsi a un altro lungo periodo di tensioni geopolitiche, che avrà al centro il confronto tra Occidente e la Russia di Putin.