È l’ansia, la nostra ansia, il filo che ci lega, dopo averci tenuto per un po’ con il fiato sospeso, con il cuore in gola, in modo indelebile e definitivo alla storia, di vita e di morte, di Giulia Cecchettin.

In molti si sono domandati perché questo tragico assassinio, proprio questo e non uno degli altri oltre cento già accaduti di questi tempi, ci tenga legati, ci porti in così tanti nelle piazze e in quella chiesa dell’ultimo saluto. E perché quell’immagine dolce di Giulia sull’altalena con il suo vestitino rosso, insieme alle parole della sorella Elena e poi del padre Gino si siano già impressi come sculture nella pietra.

Una svolta, si dice. Dopo di lei nulla sarà come prima. Non perché, purtroppo, la sua tragedia sarà l’ultima. Non sarà così. Infatti, mentre a Padova Gino Cecchettin pronunciava parole quasi sacre nell’ultimo saluto, ciao Giulia, amore mio, a oltre mille chilometri, nell’agrigentino, una signora di cinquant’anni veniva sfregiata al volto dall’ex marito, già inutilmente denunciato e abbandonato.

Ma nulla sarà come prima, perché la nostra ansia, quella che ci ha tenuti svegli nei giorni in cui Giulia era sparita, e tutti sapevamo che non era più in vita ma assurdamente fingevamo di sperare, la nostra ansia sta producendo, in noi e fuori di noi, quel salto, quel cambiamento che ci fa dire “basta”. E da certi “basta” è difficile tornare indietro.

Era già capitato. In almeno altre due occasioni abbiamo partecipato, con il cuore in gola, a una giovane vita di donna che spariva e poi si spegneva nella violenza.

Quello che di più somiglia alla storia di Giulia, alla sua normalità di brava ragazza del nord Italia, studiosa e brillante più del maschio che le sta accanto, è il “caso” di Chiara Poggi. La storia di Chiara, eravamo nel 2007, è entrata nelle nostre case insieme a quella villetta di famiglia e a quella scala piena di sangue e il suo corpo colpito e poi buttato giù. Anche qui lei e lui, due giovani adulti. Lei già laureata in economia e lui, Alberto Stasi, ancora studente, il fidanzato che dopo alterne vicende giudiziarie sarà definitivamente condannato a 16 anni di carcere per l’omicidio della sua ragazza.

La Cassazione è del dicembre 2015, otto anni fa, sentenza definitiva nei confronti di quel ragazzo che si è sempre proclamato estraneo al delitto, quel fidanzatino che la famiglia di lei aveva accettato e solo in seguito ripudiato. Famiglia normale, Garlasco provincia di Pavia, nord produttivo. Chiara, ragazza normale, studiosa, viso sorridente in cui quello di Giulia potrebbe specchiarsi. È tutta questa normalità da Mulino Bianco, detto in senso non spregiativo, che ci ha tenuto, che ci tiene in ansia. Sono le figurine del presepe che una mano violenta che odia le donne ha buttato giù di colpo, creando disordine in un ordine in cui l’uomo si confonde con il padre e il padre con il patriarca.

Una storia molto diversa, più o meno in quegli stessi anni, tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, il cuore in gola ce lo ha garantito per giorni e notti, quelli tra il 26 novembre, quando una ragazzina di tredici anni, Yara Gambirasio, scomparve da Brembate, nella bergamasca, e il successivo 26 febbraio quando fu ritrovata morta, abbandonata in un campo tra le sterpaglie. Non fu femminicidio, né ci fu bisogno di scomodare il patriarcato con manifestazioni, pure anche quel delitto, per il quale un muratore di Mapello, Massimo Bossetti, che ancora oggi grida la propria innocenza, è stato condannato all’ergastolo nel 2018, ha prodotto la stessa ventata di ansia. Una partecipazione che ci ha resi tutti, donne e uomini, un po’ madri e un po’ padri, coinvolti se non assolti, le parole di Fabrizio De André sono citate un po’ da tutti in questi giorni. Questo filo rosso dell’ansia non va sottovalutato o trattato come puro moto dell’anima, da scrollarsi via con il risveglio della ragione. È l’equivalente dell’“I care”, mi preoccupo quindi me ne occupo. Ci sono, ci siamo. Non è un fardello, questa ansia che ci ha tenuto il cuore in gola per Chiara e poi per Yara e per le altre cento, cadute in questa guerra assurda che oscilla tra il patriarcato e la misoginia. Ma solo con Giulia, dopo Giulia, la nostra ansia è scoppiata e quel filo ci ha legati tutti- tutte insieme e il cuore in gola è diventato un futuro che, come ha detto Gino Cecchettin, segnerà la svolta. Che forse, per la prima volta, potrebbe partire da uomini come lui.