Si dissolvono le speranze della difesa di Massimo Bossetti di ribaltare il verdetto di colpevolezza all’ergastolo nel processo per la morte della tredicenne ginnasta Yara Gambirasio che risale al 26 novembre del 2010.  I giudici della Corte d’assise di Bergamo hanno rigettato la richiesta dei difensori del muratore di Mapello di esaminare i campioni biologici e i reperti del delitto. Un’istanza che, se accolta, avrebbe potuto portare a una possibile revisione della sentenza. Il collegio, presieduto da Donatella Nava, ha bocciato con un’ordinanza di 19pagine le istanze difensive. Resta pendente un altro ricorso in Cassazione della difesa, poi mandato dalla Suprema Corte a Bergamo, sul quale potrebbe pronunciarsi lo stesso collegio che oggi ha detto no agli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini. «Questo è il nostro Paese che dire? C’è un giudizio di rinvio della Cassazione molto chiaro che è stato nuovamente disatteso. Ottenere le cose più banali in Italia sembra la cosa più difficile al mondo. Ottenere giustizia sembra veramente qualcosa di incredibile. Io non voglio usare parole tratte dal libro "Il sistema" ma penso che stiamo veramente lottando contro qualcosa più grosso di noi», ha commentato a Telelombardia Claudio Salvagni, legale di Massimo Bossetti. «Al momento non ho letto ancora le motivazioni quindi mi riservo qualsiasi commento dopo la lettura - ha aggiunto l’avvocato -. Ad ora sembra che sia stata rigettata ogni nostra richiesta per cui sebbene veniamo da un giudizio di rinvio dalla Cassazione, Bergamo per l’ennesima volta ha ritenuto di non accogliere nessuna nostra richiesta. Anzi la cosa che voglio stigmatizzare da subito, non avevo detto prima per rispetto della Corte, però c’era stata una richiesta di trasmissione degli atti dalla Procura di Bergamo alla Procura di Venezia in quanto gli avvocati avrebbero calunniato la Procura stessa. Quindi un ennesimo tentativo di imbavagliare, di zittire la difesa molto molto grave che a questo punto vedrà anche la difesa passare al contrattacco». «La Procura di Bergamo, ha spiegato ancora Salvagni - ritiene che le nostre parole e i nostri scritti siano calunniosi. Cioè noi avremmo accusato sapendo l’innocenza, avremmo accusato di reati la Procura di Bergamo. Noi siamo degli avvocati, scriviamo e parliamo in nome e perconto del nostro cliente, e adesso andiamo fino in fondo per vedere chi ha fatto cosa e dove sono le responsabilità». Poi, replicando a chi gli chiedeva se faranno ricorso, l’avvocato ha detto: «Non ho ancora letto le motivazioni, le analizzeremo io e il mio collega Paolo Camporini e poi decideremo». Entrambi non possono né vedere né analizzare i reperti, neanche sapere come sono conservati. «C’è un no assoluto su tutto - ha rimarcato Salvagni -. E voglio chiudere dicendo che a pensar male si fa peccato ma a questo punto direi che è proprio il minimo quello di pensare male».