La procura di Venezia ha iscritto nel registro degli indagati il presidente della Prima sezione penale del tribunale di Bergamo, Giovanni Petillo, e la funzionaria responsabile dell’Ufficio corpi di reato, Laura Epis, per il caso Yara Gambirasio. Come riferisce il Corriere della Sera, per entrambi l’ipotesi è quella prevista dall’articolo 375 del codice penale: frode in processo e depistaggio. L’inchiesta nasce da una denuncia presentata nel giugno del 2021 dagli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, difensori di Massimo Bossetti, il muratore di Mapello condannato in via definitiva per l’omicidio della 13enne di Brembate, alla procura veneta (titolare dei fascicoli che riguardano i magistrati di Bergamo) perché qualcuno potrebbe aver occultato deliberatamente 54 provette contenenti il Dna che è costato l’ergastolo all’imputato. In particolare la difesa ha sempre lamentato di non aver avuto accesso diretto alle tracce di Dna trovate sui leggins e sulle mutandine della vittima classificate inizialmente come "Ignoto 1" e poi attribuite a Bossetti. Nel corso del dibattimento era emerso che la traccia decisiva, quella da cui fu estratto il profilo di "Ignoto 1", non sarebbe più utilizzabile in quanto «definitivamente esaurita», successivamente invece si è dato atto della disponibilità di 54 campioni di Dna trovati sul corpo della vittima. Ma il sospetto della difesa è che «il materiale confiscato sia stato "conservato in modo tale da farlo deteriorare" vanificando la possibilità di effettuare nuove indagini difensive». Nei mesi scorsi sarebbero stati ascoltati diversi testimoni, compresa la pm Letizia Ruggeri titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Yara, e ora l’inchiesta veneziana sembrerebbe vicina alla chiusura «e, sempre stando alle indiscrezioni, finora - scrive il quotidiano - non sarebbe emersa alcuna prova di un comportamento doloso». Se così fosse la procura non potrà che chiedere l’archiviazione del fascicolo. «Pendono altri due ricorsi in Cassazione per ottenere l’autorizzazione a riesaminare quei reperti, che però ancora non sappiamo in che condizioni siano e che tipo di danni possano aver subito trasferendoli dall’ospedale San Raffaele, dove erano custoditi inizialmente, ai magazzini dell’Ufficio corpi di reato - spiega l’avvocato Salvagni -. L’obiettivo della denuncia è proprio di sapere se sono ancora utilizzabili o se qualcuno, magari interrompendo la catena del freddo indispensabile per la buona conservazione dei campioni, abbia compromesso per sempre la possibilità di effettuare dei nuovi studi sul Dna di "Ignoto 1"».