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Il 37esimo suicidio avvenuto nelle nostre patrie galere è tutto ancora da chiarire. Si chiamava Fabio Cucina, un 46enne di origini palermitane ristretto da quasi 10 anni nella sezione di Alta Sorveglianza del carcere di Saluzzo, in provincia di Cuneo. Avrebbe finito di scontare la pena tra circa sei anni, ma è uscito prima dal carcere in fin di vita. Stando alla versione ufficiale, Fabio avrebbe tentato di impiccarsi giovedì pomeriggio con un laccio dell’accappatoio. In teoria era sorvegliato a vista 24 ore su 24. L’agente penitenziario se ne sarebbe accorto solo dopo e, dopo aver tentato di rianimarlo, Fabio è stato trasportato d’urgenza nell’ospedale di Cuneo. Oramai era andato in coma, ha combattuto tra vita e la morte per tre giorni, ma domenica pomeriggio ha smesso di respirare. I familiari, per ordine del magistrato, sono stati costretti a vedere il corpo di Fabio – con tanto di piantoni a vigilare - per soli 10 minuti. Tanto è bastato per osservare il collo che non presentava nessun segno visibile. Strano per un’impiccagione. Il resto del corpo era coperto da un lenzuolo e quindi non hanno potuto osservare le gravi lesioni che i medici avevano riscontrato. Lesioni che ne hanno causato la morte. Molti dubbi e diversi punti oscuri ancora da chiarire. Ma non sono sospetti posti esclusivamente dai familiari. Il magistrato di turno del tribunale di Cuneo, avvalendosi anche dalle perplessità espresse dagli stessi medici, ha subito disposto il sequestro del corpo per effettuare, in settimana, l’autopsia. Gli operatori del carcere hanno riferito ai familiari che Fabio Cucina avrebbe già tentato di suicidarsi nei giorni precedenti. Eppure i familiari non ne sapevano niente e non sono mai stati avvertiti. Inoltre, lo stesso detenuto, durante i colloqui non avrebbe riferito nulla. Ma se fosse vero, la questione diventa ancora più grave: come mai, nonostante il presunto precedente tentativo di suicidio, gli avrebbero permesso di possedere il laccio dell’accappatoio? Tanti dubbi, poche certezze, che verranno dipananti dalla magistratura.
I familiari di Fabio Cucina ricorda- no anche che il magistrato di sorveglianza avesse negato un permesso speciale per poter assistere al funerale del padre che morì a luglio scorso. Permessi di necessità che vengono concessi ai detenuti ostativi. Dopo 10 anni di galera, Fabio aveva anche chiesto altri permessi, come quelli di lavorare esternamente. Ma i benefici della pena vengono negati per chi commette reati ostativi. Durante gli stati generali dell’esecuzione penale è emersa una proposta per superare tali divieti. Nel documento finale c’è scritto che «l’intervento ipotizzato consiste nell’integrazione dell’attuale disposto con un comma di nuovo conio ( 1- bis), descrittivo di condotte riparative assunte quali manifestazione di ravvedimento e risocializzazione del condannato che possano fungere da chiave di superamento dell’ostatività alla concessione dei benefici penitenziari in termini equipollenti alle condotte concretamente collaborative già descritte nella vigente dizione normativa». Una proposta che dovrebbe essere recepita dalle commissioni istituite di recente dal ministro della giustizia Andrea Orlando per redigere le bozze dei decreti per attuare la riforma dell’ordinamento penitenziario.
Nel frattempo, parlare di carcere, è come stilare un lungo e inarrestabile necrologio. Salgono a 37 i suicidi ( alcuni da chiarire), per un totala le di 75 morti. Domenica, nel giro di 24 ore, si sono verificati due sucidi. Oltre alla morte di di Fabio Cucina, c’è anche da registrare il suicidio di un nordafricano di 28 anni detenuto nel carcere di Monza. Si è ucciso inalandosi la bomboletta del gas che viene utilizzata per cucinare il cibo e riscaldare le bevande. Il Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, fa sapere che sempre nello stesso carcere, il mese scorso, è stato sventato un tentativo di suicidio. Anche in quel caso era un detenuto straniero e ha tentato di suicidarsi impiccandosi nella sua cella, ma per fortuna è stato salvato grazie al tempestivo intervento della polizia penitenziaria. Sempre quest’anno, due suicidi sono avvenuti in una sola mattinata proprio nel carcere di Monza: uno di 29 anni che ha inalato il gas e l’altro di 56 anni impiccatosi nel reparto di infermeria. Ma anche nel carcere si Saluzzo ci sono stati altri casi. Riguarda Sasha Z., 33 anni, morto il 3 maggio scorso: condannato per furto a meno di un anno di detenzione, era in isolamento da alcuni giorni. Tanti, troppi sucidi.
A commentare il triste primato di quest’anno che ancora deve volgere al termine è Rita Bernardini, della presidenza del Partito Radicale. «La cadenza dei suicidi di questa estate da dimenticare – racconta l’esponente radicale -, mi ha riportato alla mente le parole di Giorgio Napolitano al convegno radicale del 28 luglio di sei anni fa. Quella delle carceri, disse l’allora Presidente della Repubblica, “è una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana – fino all’impulso a togliersi la vita – di migliaia di esseri umani chiusi nelle carceri”». Prosegue la Bernardini: «A Pannella, che mettendo in pericolo la sua stessa vita chiedeva amnistia e indulto ( le uniche misure che avrebbero consentito di rientrare immeditatamente nella legalità costituzionale), veniva risposto che occorrevano riforme strutturali e durature che però non sono mai arrivate. Sono così trascorsi 6 anni di oltraggi ai diritti umani fondamentali, di trattamenti inumani e degradanti “fino all’impulso a togliersi la vita”». L’esponente del Partito Radicale conclude con una speranza ricordando l’azione non violenta intrapresa da migliaia di detenuti: «I quasi seimila detenuti che con la nonviolenza danno vita al Satyagraha promosso dal Partito Radicale, stanno aiutando il ministro Orlando e il governo affinché non si distragga da quel che urgentemente deve fare: la riforma dell’Ordinamento penitenziario secondo la delega ricevuta dal Parlamento».
ondimento della vicenda.