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Due sentenze della Cassazione accolgono i ricorsi sulla mancata concessione del permesso premio ai detenuti condannati per mafia che è subordinata alla collaborazione. Entrambe le decisioni hanno dovuto stabilire se i detenuti ne possano beneficiare pur non avendo collaborato laddove la collaborazione sia impossibile. Interessante la distinzione che la Cassazione fa tra la collaborazione in senso più ampio con lin collaboratori di giustizia che sono una cosa ben specifica. Una misura che viene cristallizzata nella sentenza recentemente depositata n. 3278/ 2018 del 18.7.2018, che Il Dubbio ha potuto visionare grazie alla gentile concessione di Yairaiha Onlus associazione che porta avanti da anni la lotta per l’abolizione dell’ergastolo - e che segue il detenuto ricorrente G. A. Questa sentenza, entrando nel dettaglio dei limiti del perimetro della collaborazione impossibile, annulla con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Milano il provvedimento che dichiarava inammissibile il reclamo proposto dal detenuto contro la stessa decisione del magistrato di Sorveglianza, a proposito del permesso premio perché si trattava di condannato per reati ostativi del 4bis. La Cassazione affronta la questione dei limiti della collaborazione impossibile e riconosce in buona sostanza l’errore di diritto di una sovrapposizione tra la collaborazione richiesta dal 4 bis in relazione all’art 58 ter ( articolo che la riforma originaria dell’ordinamento avrebbe modificato agganciando la collaborazione con le condotte riparative), e quella cosiddetta totale, che sarebbe riservata alla disciplina dei benefici per i “collaboratori di giustizia”. Il rischio per la Corte di una simile sovrapposizione, sarebbe quello di finire per ammettere il beneficio nei soli casi di collaborazione totale dove, al contrario, il permesso premio ha finalità rie- ducativa e vale per tutte le forme di esecuzione, inclusi i reati ostativi. Secondo la Cassazione si rischierebbe di aprire alle forme della collaborazione totale non richieste per la verifica della concessione dei benefici dell’art 4 bis. Critica è dunque la decisione degli ermellini anche nel riferire che mancano, nel provvedimento impugnato, i richiami in concreto alla possibilità della collaborazione citando solamente la nota della Dda che richiamava in astratto il possibile contributo collaborativo in ordine al sodalizio ancora esistente, ma che non teneva conto dell’ammissione di responsabilità del ricorrente e della condotta di scissione dal passato delinquenziale, omettendo di verificare il nucleo centrale, cioè l’esistenza in concreto di uno spazio collaborativo. Disattendere questo percorso valutativo, significherebbe per la Cassazione disapplicare le decisioni della Consulta che hanno indicato il canone di collaborazione, sul reato per cui vi è condanna, alla stregua dell’indice legale del ravvedimento. Nell’altra sentenza, numero 36457/ 2028 del 9.4.2018 depositata qualche giorno fa, si chiede che il tribunale di sorveglianza attesti, tramite la nota della Dda, la perdita dei legami del ricorrente con il contesto della criminalità organizzata. Gli ermellini hanno accolto il ricorso della procura generale contro il provvedimento del tribunale di sorveglianza, che dichiarava la collaborazione impossibile e accoglieva il reclamo, ritenendo concepibile il permesso premio. Il punto della sentenza è che “la vastità del contributo collaborativo non si concilia con una obbligatoria iniziativa dell’autorità inquirente, alla quale non può chiedersi di ipotizzare gli apporti informativi possibili che possano chiedersi al condannato”. Come osserva la Cassazione il tribunale aveva ritenuto impossibile la collaborazione a fronte di un mancato sollecito della Dda: sul punto ha invece ribadito che la collaborazione non possa ritenersi impossibile per il solo fatto che non sia stata sollecitata dagli inquirenti, ma che invece rimanga, nel caso dei reati ostativi, assieme alla perdita dei legami con il contesto della criminalità organizzata, l’indice di ravvedimento. Anzi, sempre secondo la Cassazione, proprio perché è il sintomo legale del ravvedimento del condannato, la collaborazione si muove in linea con la funzione rieducativa della pena. Sempre in tema di collaborazione e ravvedimento, a proposito del provvedimento impugnato, la Corte trova l’occasione per ribadire - viste le osservazioni del Tribunale a sostegno della decisione in merito alla mancata valutazione della lunga detenzione del condannato come circostanza dimostrativa dello scioglimento del vincolo - che la presunzione di permanenza del vincolo debba restare una massima di esperienza per il giudice che ha respinto il permesso premio. Per la Cassazione, a fronte della presunzione, solo la collaborazione, intesa come ravvedimento, può essere la prova di questa scissione. Il tutto detto, anche non mancando di richiamare che comunque per collaborazione si debba intendere, ogni contributo informativo che possa configurare un “aiuto concreto” per la ricostruzione di fatti e per l’accertamento di responsabilità, anche non direttamente collegato coi fatti di reato della condanna.