Ma se ci fossero regole diverse sulle intercettazioni telefoniche e sul contrasto alla loro diffusione illecita, come affermato l’altro giorno dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, il Palamaragate sarebbe scoppiato? Fra i tanti casi di “errori giudiziari” dovuti ad intercettazioni telefoniche mal trascritte va senza dubbio annoverato lo scandalo che travolse il Csm all’inizio dell’estate del 2019.

A differenza, però, di quanto accaduto ad esempio ad Angelo Massaro, che per una telefonata distorta scontò da innocente 21 anni di carcere, nel Palamaragate le manette non scattarono: ci si limitò alle dimissioni di sei consiglieri su 16 del Csm e a quelle del procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, oltre allo stop della nomina di Marcello Viola a procuratore di Roma. Il telefonino dell'ex presidente dell'Anm Luca Palamara, come si ricorderà, era stato prima intercettato e poi “infettato” con il famigerato trojan per scoprire se ci fosse corruzione nelle nomine di Procure e Tribunali.

Nella richiesta di archiviazione, per uno dei filoni, firmata dal procuratore di Perugia Raffaele Cantone e dai pm Mario Formisano e Gemma Miliani il 13 dicembre del 2021, accolta dal gip Piercarlo Frabotta lo scorso 2 febbraio 2022, si è scoperto come iniziò e si sviluppò l'indagine con il ricorso alle intercettazioni che, in realtà, nulla avevano poi rivelato sulla presunta corruzione, limitandosi a dimostrare che tutti si rivolgevano a Palamara per essere nominati nella ambite cariche senza tuttavia corrispondergli alcuna contropartita, se non quella tipica correntizia.

In particolare, l’ex magistrato di Siracusa Giancarlo Longo aveva riferito nell’interrogatorio del 26 aprile 2019 che l’avvocato Giuseppe Calafiore gli aveva confidato di avere consegnato 40mila euro a Palamara per ottenere la nomina dello stesso Longo quale procuratore di Gela, senza che tuttavia si fosse concretizzato nulla, poiché la toga non prese alcun voto al Csm, neppure quello di Palamara. Non solo. Sempre i pm di Perugia scrissero che Calafiore, interrogato il 10 maggio 2019, aveva negato «fermamente di aver dato 40mila euro a Palamara… Io non ho rapporti con lui». Ebbene, ciononostante per questi 40mila euro mai riscontrati Palamara venne intercettato da febbraio 2019 a maggio 2019 e nell’ultimo mese anche con il trojan.

Il 30 maggio successivo la Procura di Perugia eseguì una perquisizione nei confronti di Palamara, che finì su tutti i giornali, contestandogli anche «il reato di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, nel caso specifico per avere ricevuto, quale componente del Csm, la somma pari ad euro 40mila da Calafiore per la nomina di Longo quale procuratore di Gela».

Anche se Calafiore, come detto, aveva smentito Longo 20 giorni prima. Per non farsi mancare nulla, all’ex deputato dem Luca Lotti, uno dei partecipanti al dopo cena presso l'hotel Champagne, registrato con il trojan nel telefono di Palamara, venne messa in bocca la frase cardine di tutta la vicenda: «Si vira su Viola». In realtà quella frase, riportata dal Gico della guardia di finanza e finita anch'essa su tutti i giornali ad indagini in corso, non era stata mai pronunciata. Lotti si limitò ad affermare «si arriverà su Viola».

Non si trattò, quindi, di una “spinta” del parlamentare nei confronti di Viola quanto, invece, di una constatazione. Insomma, non ci fu nessun accordo toghe- politica per pilotare la nomina di un procuratore compiacente a Roma e favorire Lotti, all’epoca imputato proprio nella Capitale. Quando l’errore venne scoperto, dopo oltre un anno, era ormai troppo tardi. L'iniziale clamore mediatico aveva determinato l’immediato azzeramento del voto in Commissione a favore di Viola e la sua estromissione dal concorso.