Due proposte del governo sui migranti. L'una in apparente contrasto con l'altra. Da una parte il ministro della Giustizia Andrea Orlando che ha pronto il testo di un decreto sulle domande d'asilo: si prevede di abolire il doppio ricorso contro l'eventuale diniego da parte della commissione territoriale (via dunque l'opposizione in appello) e di semplificare il procedimento, con la possibilità di esaminare il caso senza celebrare una vera e propria udienza ma con la mera valutazione del colloquio videoregistrato presso la commissione prefettizia. Una soluzione per ridurre il più possibile la permanenza in Italia di chi dovesse essere giudicato privo dei requisiti per l'asilo e dunque destinato all'espulsione: l'idea era stata esposta dal guardasigilli lo scorso 4 agosto davanti al comitato parlamentare di controllo su Schengen. Accolto senza scossoni, il progetto è stato ricordato ieri da Repubblica e ha fatto più rumore di quanto non fosse avvenuto due settimane fa. Non solo per il risalto con cui il quotidiano ha esposto le idee di Orlando, ma anche perché dall'altra parte un dirigente di un altro ministero, Mario Morcone, capo del dipartimento Immigrazione del Viminale, lancia un'ipotesi non esattamente in accordo con la prima: lo fa in un'intervista al Corriere della Sera in cui propone di «coinvolgere nel lavoro» quei migranti che «sono legittimamente sul nostro suolo» ovvero «i rifugiati o chi ha già presentato richiesta di asilo». E proprio sulla possibilità indicata da Morcone si scatena un uragano di reazioni: assolutamente contrarie soprattutto da parte della Lega. Con il solito Salvini che propone di «licenziare Morcone e metterlo su un barcone». Ma anche con obiezioni un po' meno brutali, in particolare a proposito della forma ipotizzata dal prefetto per retribuire i richiedenti asilo disponibili a lavorare per i Comuni: il capo dell'Immigrazione immagina un «meccanismo premiale» basato sulla concessione del permesso umanitario «attualmente dato per motivi di vulnerabilità ai bambini e ai malati», il vicepresidente lumbàrd del Senato Calderoli osserva che questo potrebbe diventare «il cavallo di Troia per far restare qui tutti i richiedenti asilo». Da Forza Italia e da vari spezzoni centristi pure arrivano stroncature senza appello.Il tutto è complicato dal paradosso che vede proprio il ministro dell'Interno Angelino Alfano assai tiepido sull'idea del suo dirigente: «Occorre che i profughi diano una mano nelle città in cui vivono, attraverso convenzioni con associazioni di volontariato», puntualizza il capo del Viminale, «ma la regola è che nei lavori si dà sempre e comunque precedenza agli italiani». Non un disconoscimento assoluto ma un mezzo passo indietro rispetto all'ipotesi del prefetto, che nell'intervista al Corriere non aveva certo subordinato il lavoro dei migranti al fatto di proporre in via preliminare a cittadini italiani quelle opportunità.Da una parte Orlando che vuole ridurre al massimo i tempi di permanenza in Italia per chi non ha diritto all'asilo, dall'altra il capo dell'Immigrazione che vuole dare senso e mettere a frutto quella permanenza: due soluzioni in parte contrastanti che evocano un unico fantasma, quello del rischio di una radicalizzazione già presente tra i migranti o che può propagarsi nei centri di accoglienza. È il fantasma dell'Isis e l'ansia di mettere quella possibile minaccia sotto controllo. Operazione tanto più difficile quanto più inafferrabile pare, anche al governo, l'ombra del fondamentalismo.