Sul tavolo della riforma della Giustizia ci sono, oggi: cinque quesiti referendari e la riforma Cartabia del Csm. I primi rischiano di mancare il quorum, la seconda è, decisamente, “soft” rispetto alle aspettative. Eppure, la magistratura organizzata ha reagito con un’alzata di scudi che ha pochi precedenti nella storia repubblicana. Ma è la reazione di tutti i magistrati o della casta nella casta che domina e condiziona da un trentennio tutte le scelte in materia di Giustizia e di ordinamento giudiziario?

La credibilità del Csm è devastata da un’ondata pesantissima di rivelazioni e di scandali, che ne hanno resa manifesta la gestione correntizia, a scapito di competenze e merito; e tuttavia, tutto questo non ha impedito ai principali esponenti della magistratura associata di levarsi a difendere lo status quo, ormai cristallizzato in un inaccettabile conservatorismo. Eppure, le distorsioni costituzionali generate dalla Severino sono sotto gli occhi di tutti; così come le centinaia di casi di ingiusta detenzione, o il disinvolto passaggio di magistrati in politica, e ritorno. Il Paese ha bisogno di ritrovare la strada della normalità, dell’equilibrio dei poteri, del rispetto dei principi e della valorizzazione dei meriti. Ma davanti a una simile sfida, a cosa si assiste? Ai vertici della magistratura organizzata che minacciano scioperi, a forze politiche minori che minacciano crisi di governo, a forze politiche maggiori che nicchiano e tentennano.

A un’informazione che gira al largo, approfittando di una congiuntura nazionale e internazionale che propone emergenze oggettivamente assorbenti. Significa che la sfida della riforma della Giustizia e dell’ordinamento giudiziario possano essere accantonate? Evidentemente no. La politica deve, sottolineo “deve”, rispondere. Al disorientamento dei cittadini, testimoniato dal crollo di fiducia nella magistratura, rilevato da tutti i sondaggi.

Alla domanda di valorizzazione di tanti giovani magistrati che preferirebbero affidare le loro carriere alle qualità che sapranno esprimere e ai meriti che riusciranno a guadagnare, anziché a uno sporco gioco correntizio. E allora, la politica abbia uno scatto di nobiltà: Italia Viva rinunci a ricattare il governo; il Partito Democratico trovi il coraggio di prendere posizione per una giustizia giusta, svincolandosi dall’abbraccio mortale della casta nella casta di una magistratura organizzata sempre più autoreferenziale. E, infine, il mondo dell’informazione respinga l’implicito ricatto delle Procure, sul cui favore ha talvolta costruito successi editoriali. Il primo passo di un nuovo rapporto tra Giustizia e società ci si presenta come un’occasione irrinunciabile: facciamolo.