Le autorità europee fanno ricorso a pratiche qualificate come tortura nei confronti di migranti e rifugiati che tentano di attraversare le frontiere. Un diffuso ricorso alla violenza, alle intimidazioni e alla detenzione e si identifica un «chiaro schema di maltrattamenti fisici». Questo è ciò che si afferma nel rapporto annuale diffuso giovedì scorso dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa.

Parliamo di veri e propri maltrattamenti fisici durante le operazioni di respingimento, insieme al costante diniego delle garanzie basilari e del diritto d’accesso all’asilo.

«Questo sconvolgente rapporto si aggiunge al sempre più grande cumulo di prove di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità europee alle loro frontiere - ha dichiarato Eva Geddie, direttrice dell’Ufficio europeo di Amnesty International -. È la conferma delle testimonianze di migliaia di persone che hanno subito violenza alle frontiere marittime e terresti dell’Europa».

Il rapporto del Cpt identifica una tendenza generale alle frontiere europee, senza fare cenno a specifici Stati. Cita casi in cui agenti di polizia, guardie di frontiera e altri funzionari hanno preso persone a manganellate, hanno esploso colpi di pistola sopra le loro teste, le hanno spinte - spesso ammanettate - nei fiumi, le hanno costrette a camminare a piedi nudi e in mutande e, in alcuni casi, ad attraversare le frontiere completamente nude e le hanno minacciate o aggredite con cani privi di museruola. «Queste prassi brutali e illegali, spesso eseguite nel contesto di ritorni illegali o di respingimenti, sono usate dalle autorità per impedire alle persone in cerca di protezione di raggiungere i loro confini – afferma Amnesty International -. Le conclusioni del Cpt circa la loro natura sistemica sono corroborate dalle ricerche svolte da Amnesty International lungo le frontiere europee, tra cui quelle recenti in Spagna, Croazia, Polonia, Lituania e Lettonia». 

Continua sempre Amnesty International: «Il rapporto è stato reso noto proprio mentre il parlamento lituano sta esaminando una proposta di legge che intende rendere legali i respingimenti. Se venisse approvata, priverebbe le persone entrate irregolarmente in Lituania di ogni possibilità di chiedere protezione internazionale e causerebbe il ritorno forzato di molte di esse in luoghi dove rischierebbero di subire torture».

L’organizzazione prosegue sottolineando che «dall’estate del 2021 Lituania, Polonia e Lettonia hanno utilizzato lo stato d’emergenza per legalizzare i ripetuti respingimenti alle frontiere con la Bielorussia, esponendo molte persone alla violenza fisica, ai ritorni sommari e ad agghiaccianti condizioni di detenzione».

Da allora almeno 37 persone hanno perso la vita alla frontiera polacca e molte altre sono morte lungo quelle della Lettonia e della Lituania.

Confermando anche in questo caso le prove raccolte da Amnesty International, il rapporto del Cpt afferma che generalmente le autorità non indagano sulle denunce di torture, maltrattamenti e altre violenze avvenute nel contesto delle operazioni alle frontiere. «Il drammatico elenco di violenze e intimidazioni contenuto nel rapporto è purtroppo abbondantemente familiare. La mancanza di provvedimenti per le gravi violazioni dei diritti umani alimenta un ciclo di violenza incontrastata e rivela un profondo disprezzo degli stati europei per la vita delle persone in cerca di protezione - ha concluso Geddie -. C’è urgente bisogno che vengano avviate indagini immediate e indipendenti, che i responsabili siano chiamati a risponderne e che siano istituiti forti meccanismi indipendenti di monitoraggio alle frontiere».

D’altronde la prevenzione dei maltrattamenti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti privati della libertà all'interno dell'area del Consiglio d'Europa rimane una priorità per il Cpt. Nel suo 7° e 19° Rapporto Generale, il Comitato ha esposto il suo pensiero sui diritti dei cittadini stranieri in detenzione per immigrati. Dal 2009, il Cpt ha continuato a ricevere numerose accuse di maltrattamento di cittadini stranieri da parte di funzionari statali e a visitare i centri di detenzione per immigrati in condizioni spaventose. Inoltre, ha incontrato un numero crescente di persone che affermavano di essere state allontanate violentemente con la forza dal territorio di un paese del Consiglio d'Europa, alle frontiere terrestri o marittime, senza tener conto delle loro circostanze individuali, vulnerabilità, esigenze di protezione o rischio di maltrattamenti al rientro ( i cosiddetti “respingimenti”). Il crescente ricorso a respingimenti negli ultimi anni con responsabilità minima da parte degli attori statali ha portato il Cpt a esporre le proprie opinioni sulla necessità di mettere in atto adeguate strutture di controllo per porre fine a questo fenomeno. «Tutte le persone private della loro libertà dovrebbero essere trattate con dignità e in conformità con i principi dei diritti umani riconosciuti dal diritto internazionale», sottolinea il comitato nel rapporto. 

I numerosi casi segnalati di allontanamento sommario e forzato di cittadini stranieri alle frontiere terrestri e marittime di diversi Stati membri del Consiglio d'Europa – caratterizzati , tra l'altro, da atti di maltrattamento fisico, inosservanza delle fondamentali garanzie legali e dell'accesso all'asilo, e cattive condizioni materiali di detenzione – sono state documentate da varie organizzazioni internazionali e della società civile, anche attraverso l' uso della tecnologia di geolocalizzazione. Il diffuso fenomeno dei respingimenti – sia per portata che per estensione geografica – è stato denunciato, tra gli altri, dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa e dal Parlamento europeo.

Nell'esaminare il trattamento dei cittadini stranieri nel contesto delle operazioni di respingimento alle frontiere, il Cpt ci tiene a sottolineare che ha sempre rispettato il diritto inviolabile degli Stati di controllare i propri confini sovrani e ha riconosciuto le sfide sproporzionate affrontate da alcuni paesi che si trovano ad affrontare arrivi migratori, soprattutto in virtù della loro situazione geografica. Di conseguenza, il Comitato ha ripetutamente affermato nelle sue relazioni che rispondere a queste sfide richiede un approccio europeo concertato per affrontare i flussi migratori misti. Nel contempo, il Cpt è irremovibile nel riaffermare che queste sfide non possono assolvere gli Stati membri del Consiglio d'Europa dal rispetto dei loro obblighi in materia di diritti umani. «Non possono esservi deroghe a norme fondamentali del diritto internazionale come il divieto di tortura e di trattamento inumano o degradante delle persone private della libertà e il loro diritto a non essere rimandati in un paese in cui vi sono fondati motivi per ritenere che sarebbero corrono un rischio reale di essere sottoposti a tale trattamento», chiosa il comitato europeo.