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IL VICEPRESIDENTE DEL CSM INTERVIENE SULLA CRISI DELLA MAGISTRATURA. «SERVE UN MANAGER DEI TRIBUNALI»
Secondo il vertice di Palazzo dei Marescialli occorrono una presa di coscienza e un nuovo codice di comportamento. «Non c’è bisogno di consenso, ma di fiducia »
Serve una presa di coscienza etica. Una rivoluzione. E ricordare che la magistratura non ha bisogno di consenso, ma di fiducia. Intaccata, oggi, dallo scandalo toghe che ha visto come protagonista Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. David Ermini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, analizza così il clima pesante che da molti mesi avvolge il mondo delle toghe, in preda ad una perdita di credibilità che trova la sua spiegazione nella degenerazione correntizia denunciata, nei mesi scorsi, dal presidente della Repubblica - nonché del Csm - Sergio Mattarella. «Serve una presa di coscienza etica - ha spiegato ieri Ermini a Radio24 -, perché io credo che le leggi possono essere tutte valide e nessuna valida, in quanto dipende da come poi le applichi, però credo che alla fine di tutto questo ci debba essere una rivoluzione nel modo di comportarsi che deve essere assunta da tutti magistrati».
Il caso Palamara ha scoperchiato il vaso di Pandora, portando alla luce una verità forse nota a molti da tempo, ma mai evidente come lo è adesso. E anche se per qualcuno - in primis lo stesso Palamara - l’ex presidente dell’Anm è l’unico capro espiatorio di una situazione che vedeva coinvolte molteplici persone, per Ermini la realtà è diversa. E a testimoniarlo ci sono i numerosi fascicoli in mano al Csm, che dovrà giudicare le condotte di tutti quelli che con lui hanno intrallazzato per ottenere qualcosa. «Non ho partecipato al processo Palamara, mi sono astenuto perché ritengo che per poter giudicare le persone bisogna essere sereni e io non ero sereno» dopo aver letto le intercettazioni, ha spiegato. «Però l’altro giorno, in consiglio, il procuratore generale ha detto che ci sono 27 procedimenti aperti e non so neanche se sono finiti. Abbiamo tanti procedimenti, soprattutto in prima commissione, che sta esaminando tutte le chat, non tanto le intercettazioni. Una cosa così non era mai avvenuta». Secondo il numero due del Csm, esiste comunque una maggioranza silenziosa, fatta di magistrati che non hanno partecipato ad accordi e spartizioni sottobanco e sono «spettatori inorriditi» di quello che è accaduto. Ma serve una riflessione profonda, che parta dalle degenerazioni del carrierismo. È quello, per Ermini, uno dei due grossi problemi della magistratura. L’altro, invece, è il cattivo uso che il Csm ha fatto della possibilità di decidere discrezionalmente delle nomine. Nel primo caso, il problema dipende da quel filo che tiene legati Anm e Csm, nonostante si tratti di «due cose istituzionalmente e totalmente diverse». E finché non si interrompe questo legame, ha sottolineato Ermini, le leggi rischiano di non bastare. Nel secondo caso tutto nasce, invece, dalla riforma del 2006, quando il criterio dell’anzianità ha lasciato il posto a quello della discrezionalità. Un fatto positivo, ha evidenziato il vicepresidente del Csm, perché fu proprio il primo criterio a far preferire un altro magistrato a Giovanni Falcone. «Ma la discrezionalità non è stata usata bene», ha sottolineato. La selezione della magistratura deve essere effettuata sulla base di alcuni parametri. Come la capacità di coordinamento, «perché non è detto che un bravo giurista sia anche un bravo dirigente». E ogni ruolo richiede un diverso metro di valutazione. Ma il problema serio, adesso, è la perdita di fiducia da parte dei cittadini nei confronti della magistratura. Non di certo una novità, ma il crollo, negli ultimi mesi, è stato quasi verticale. Il primo passo da fare è, dunque, cercare di recuperare quella fiducia, attraverso un netto cambiamento nel modus operandi. «La magistratura non ha bisogno del consenso - ha sottolineato Ermini -, quello lo cerca la politica, ma ha bisogno della fiducia. E quando manca la fiducia diventa un problema grave per tutti». Per Ermini non si tratta di una questione di procedimenti disciplinari: sono tanti, ha affermato, i fascicoli aperti e le sanzioni, anche pesanti, comminate. Ma l’idea di una figura di supporto che controlli tutta una serie di aspetti legati alla giustizia non sarebbe da scartare. Per questo per Ermini accanto ad ogni direttivo ci vorrebbe un manager. «Oggi gestire un tribunale vuol dire gestire personale, mezzi informatici, rapporti con la polizia giudiziaria, con tutte le attività investigative che si fanno, strumenti nuovi, poi si pensi a tutte le strutture», ha concluso.