L’idillio tra Davigo e le correnti della magistratura è finito lì, forse per sempre, in quell’aula magna al Palazzo di giustizia di Milano, dove mercoledì scorso il presidente dell’Anm ha lanciato la fatwa contro le nomine del Consiglio superiore. «È al buio che avvengono le porcherie e i baratti» è il memorabile anatema, solo parzialmente smentito, che rischia di mettere in discussione la “presidenza lunga” dell’ex pm di Mani pulite. Di rado il Csm produce comunicati impersonali e una di queste poche occasioni è arrivata il giorno dopo, con la nota in cui Palazzo dei Marescialli ha definito «gravi, scomposte e sorprendenti» le parole di Davigo. Eppure il peso delle correnti sulle nomine del Csm è un tema vero, che sarà affrontato nel giro di pochi mesi da un disegno di legge del ministro della Giustizia. Tra gli obiettivi di Andrea Orlando c’è quello di riformare il sistema per l’elezione dei togati al Consiglio superiore. Un intervento che potrebbe seguire più o meno fedelmente le tracce lasciate dalla commissione Scotti. E cioè l’introduzione di collegi più piccoli, nei quali sarebbe più semplice farsi strada anche per quei magistrati non organici ai principali gruppi della magistratura associata, con successivi ballottaggi che costringerebbero le correnti a seguire i candidati forti (oggi avviene il contrario).Un testo di Orlando ancora non esiste. Anche perché per uno scherzo del destino, nel pieno della polemica per l’attacco di Davigo, dovrà essere proprio la commissione Riforme di Palazzo dei Marescialli a esprimere per prima un giudizio sulla proposta del gruppo di studio presieduto da Luigi Scotti, con un’apposita delibera. Il guardasigilli attenderà intanto questa valutazione. A via Arenula non si esclude che le linee guida della riforma possano essere presentate da Orlando prima della pausa estiva. Improbabile che venga incardinato un testo vero e proprio, considerato anche che le commissioni Giustizia del Parlamento sono alle prese con la delicatissima riforma del processo penale. Ma certo non ci sono dubbi sulla necessità di agire. Non ne vengono neppure da una battuta fatta a riguardo da Matteo Renzi: «Riformare il Csm non è una priorità», disse il premier dopo lo choc dell’intervista (poi smentita) di Morosini al Foglio. In realtà ora come ora non c’è tempo di mettere in cottura anche la riforma elettorale dei magistrati. Ma dopo l’estate si procederà.E in questo in fondo Piercamillo Davigo rischia di dare una mano al governo. Quella sua frase sulle nomine del Csm che «non convergono sul candidato migliore» e che obbediscono invece alla prassi dell’«uno a te, uno a me e uno a lui, una cosa orribile... », quell’attacco al correntismo dei giudici firmato dal loro sindacalista, finirà per rendere inevitabile la riforma del Consiglio superiore. Oltretutto, la relazione Scotti è stata trasmessa non solo a Palazzo dei Marescialli ma anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che è anche presidente del Csm. E al Capo dello Stato, come al vicepresidente Giovanni Legnini, le frasi di Davigo non sono scivolate via come irrilevanti. Non che sia stato lui a scoprire la necessità di riequilibrare il potere dei gruppi, ma certo il suo ruolo di numero uno dell’Associazione magistrati, che proprio dalle correnti è formata, imprime un’inerzia fatale a tutta la vicenda.