Rita Bernardini riprende lo sciopero della fame dalla mezzanotte del 22 gennaio per la riforma dell’ordinamento penitenziario. L’esponente del Partito Radicale lo ha annunciato ai microfoni di Radio radicale durante la diretta di martedì sera al programma Radio Carcere, condotto da Riccardo Arena. Sì, perché lo scorso 22 dicembre il Consiglio dei ministri ha approvato gran parte dei decreti attuativi del nuovo ordinamento penitenziario, ma, come già riportato da Il Dubbio, rimangono esclusi quelli che riguardano il lavoro e l’affettività, ovvero due aspetti fondamentali della detenzione che riguardano il corretto mantenimento familiare come i permessi e colloqui, la sessualità, la rieducazione e il reinserimento dei detenuti una volta liberi.

Ma oltre a tutto ciò, l’altro problema riguarda la tempistica della conclusione dell’iter di approvazione definitiva. I decreti approvati in via preliminare dal Consiglio dei ministri devono ancora passare all’esame delle commissioni giustizia della Camera e Senato. Secondo la procedura hanno 45 giorni di tempo per esprimere eventuali pareri. In soldoni, la riforma dell’ordinamento penitenziario non solo è ancora incompleta, visto che mancano i decreti attuativi sull’affettività e lavoro, ma i tempi per la sua approvazione definitiva rimangono ancora incerti. Inoltre, Riccardo Polidoro, responsabile dell’osservatorio carceri dell’Unione camere penali e membro di una delle commissioni istituite dal guardasigilli per l’elaborazione dei decreti attuativi, ha spiegato ai microfoni di Radio carcere che le commissioni sono state prorogate fino al 31 marzo. Quindi i tempi si allungano e la proroga è servita perché una volta approvati tutti i decreti, le commissioni poi dovranno dare un parere non vincolante. Però, nel mezzo, ci sono le elezioni politiche e ciò potrebbe rallentare, o nelle peggiore ipotesi bloccare, l’intero iter di approvazione. L’approvazione della riforma quindi rimane incerta. Per questo Rita Bernardini ha deciso di riprendere l’iniziativa non violenta, soprattutto in un momento in cui le criticità del sistema penitenziario si accentuano sempre di più. «Per questo io voglio annunciare – spiega l’esponente radicale sempre ai microfoni di

Radio Carcere – la ripresa dello sciopero della fame. Questa è la mia vita – prosegue Rita Bernardini -, nel senso che non posso tollerare di essere presa in giro non su una cosa secondaria, ma sui diritti umani fondamentali che sono sistematicamente violati dentro le carceri».

La Bernardini ricorda che il Partito Radicale aveva chiesto, nel passato, un provvedimento di amnistia, unito all’indulto, per ridurre la popolazione detenuta e intanto far vivere meglio quelli che vi sono ristretti. «Ci avevano invece risposto – spiega l’esponente radicale – che avrebbero scelto un’altra via, ovvero quella delle riforme. Ma questa via come si è rivelata? Se noi non avessimo intrapreso le iniziative non violente assieme ai 30.000 detenuti, questa riforma sarebbe stata nascosta nei cassetti». Dalla mezzanotte del 22 gennaio, quindi, intraprende nuovamente lo sciopero della fame per chiedere l’approvazione dei decreti in maniera veloce e completa, inserendo anche quelli sull’affettività e lavoro, chiedendo anche di togliere la segretezza riguardante i contenuti. L’invito è rivolto anche alla popolazione dei detenuti attraverso varie forme non violente come lo sciopero della fame, quello del carrello, della spesa o dell’ora d’aria.

Sempre durante la trasmissione condotta da Riccardo Arena, viene ricordato lo sciopero della fame messo in atto dagli esponenti dell’associazione milanese “Opera Radicale” per il diritto alla salute dei detenuti. L’iniziativa non violenta, che dura oramai da 23 giorni, si articola in un digiuno a catena di un giorno per ogni partecipante. Nel comunicato dell’iniziativa che ha tra i promotori lo storico radicale Luca Bertè e Mauro Toffetti, presidente dell’associazione milanese, si legge che i detenuti sono sempre più vittime di abbandono sanitario «spesso a causa di irresponsabili decisioni dei giudici di sorveglianza, come testimonia la vicenda di Marcello dell’Utri, più che mai rappresentativa dei tantissimi casi di detenuti che in carcere non sono adeguatamente curati persino quando sono affetti da malattie gravissime». Proprio l’altro ieri, Il Dubbio, ha riportato la notizia della morte di un 77enne, recluso nel reparto di infermeria del carcere romano di Rebibbia e gravemente malato.