PHOTO
PRESENTAZIONE DELL AREA INDUSTRIALE INTERNA DEL CARCERE DI BOLLATE
Presenza di zecche, feci nelle celle, acqua fredda e sporca, materassi e lenzuola sudici, bagni intasati, impianti non funzionanti, pillole consegnate senza confezione. È un grido di allarme senza filtri quello che arriva dalla quinta sezione della Casa di reclusione di Vigevano. Una lettera firmata da quasi cinquanta detenuti è diventata il termometro di un luogo dove la pena si trasforma in martirio quotidiano. La missiva collettiva è stata indirizzata al ministero della Giustizia, al Garante nazionale, alle associazioni per i diritti umani e all’avvocata Guendalina Chiesi, che si batte per la tutela dei diritti dei detenuti con l’associazione "Quei Bravi Ragazzi Family".
Il contenuto della lettera è un catalogo dell’orrore: zecche nei materassi, acqua lurida che esce dai rubinetti, lenzuola sporche e condizioni igieniche “inaccettabili”. Ma c’è di più, molto di più. Secondo la denuncia collettiva, i farmaci verrebbero distribuiti senza alcuna confezione, compresse anonime consegnate direttamente nelle mani dei detenuti senza indicazioni sul principio attivo o sulla posologia. Un protocollo sanitario che farebbe rabbrividire qualsiasi medico, ma che evidentemente nella quinta sezione di Vigevano rappresenta la normalità. Bagni intasati, perdite d’acqua, finestre rotte: la struttura cade letteralmente a pezzi mentre i detenuti aspettano settimane per un banale antidolorifico. Le visite mediche? Un miraggio. Per ottenere cure minime, i reclusi sono costretti a inscenare proteste, come se il diritto alla salute fosse un privilegio da conquistare sul campo.
Come detto, a raccogliere le loro denunce è l’avvocata Guendalina Chiesi, vicepresidente dell’associazione “Quei Bravi Ragazzi Family”, che ha già presentato istanza urgente di ispezione igienico-sanitaria. Ma sarebbe accaduto di peggio. Secondo le segnalazioni raccolte dall’associazione, il giorno dopo la consegna della lettera la Comandante dell’istituto avrebbe convocato singolarmente i firmatari. Non per un confronto sui contenuti né per approfondire le denunce, ma – come riferito – con l’intento di scoraggiare la diffusione del documento all’esterno del carcere. «Mi è stato negato l’accesso a una copia della lettera a me indirizzata con la motivazione che non fosse ancora autorizzata la riproduzione», denuncia l’avvocata Chiesi, che a sua volta ha chiesto chiarimenti formali. E chiosa: «È un fatto gravissimo: hanno letto una comunicazione riservata tra avvocato e assistiti, violando il segreto professionale. Siamo di fronte a un attacco ai diritti fondamentali». La violazione, se commessa, è duplice e gravissima. Da un lato, l’apertura arbitraria di corrispondenza indirizzata anche a un legale, dall’altro le pressioni sui detenuti per indurli al silenzio. Configurerebbe non solo l’abuso d’ufficio, ma anche la violenza privata nei confronti di persone già private della libertà.
In questo scenario di sopraffazione emerge un dettaglio significativo: alcuni agenti penitenziari hanno espresso in forma riservata la loro solidarietà all’associazione e ai detenuti, riconoscendo le gravi criticità strutturali e organizzative della sezione. Un segnale importante che dimostra come la battaglia per il rispetto dei diritti fondamentali non sia una crociata contro il personale penitenziario, ma una richiesta di giustizia condivisa da tutti coloro che credono nella legalità. «Le carceri sono luoghi sotto la custodia dello Stato, dove dovrebbe regnare la legalità», tuona Nadia Di Rocco, presidente dell’associazione "Quei Bravi Ragazzi Family". «Invece, proprio lì, assistiamo alla sistematica violazione dei diritti umani e a presunte ritorsioni verso chi tenta di denunciare queste condizioni disumane. La nostra preoccupazione è altissima».
L’avvocata Chiesi non si è limitata alle parole. Come detto, oltre a presentare un’istanza urgente di ispezione al magistrato di Sorveglianza per verificare la situazione all’interno della quinta sezione, ha depositato una formale denuncia presso la Procura della Repubblica di Pavia. Oltre a denunciare tutte le presunte violazioni igieniche e sanitarie, l’atto ricostruisce anche le presunte pressioni subite dai firmatari: convocazioni individuali ordinate dalla Comandante, non per un confronto, ma per disincentivare la circolazione della lettera. Quella che potrebbe suonare come semplice curiosità istituzionale diventa, nella denuncia, violenza privata e violazione del segreto professionale. Il tutto in un contesto dove l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e l’articolo 32 della Costituzione – che tutela la salute – appaiono ignorati.
Nel chiudere la denuncia, l’avvocata Chiesi e la presidente Di Rocco invitano il pubblico ministero a intervenire prontamente su quattro fronti. Innanzitutto, va disposta un’ispezione approfondita della Casa di Reclusione di Vigevano, con occhi puntati sulla Sezione 5ª, per valutare condizioni igieniche, strutturali e impiantistiche. In secondo luogo, si richiede l’audizione diretta dei detenuti firmatari e l’acquisizione della lettera collettiva, per preservare l’integrità della loro testimonianza. Terzo punto, la Procura dovrà verificare i protocolli sanitari adottati: come vengono distribuiti i farmaci, quali garanzie offrono le dotazioni igieniche e se le procedure rispettano le norme vigenti. Infine, si chiede di ascoltare la Comandante dell’istituto in merito alle convocazioni individuali dei firmatari, per chiarire le ragioni di quella linea di intervento. A corredo della denuncia è allegata copia dell’istanza urgente per ispezione igienico-sanitaria ex art. 69, comma 5, L. 354/1975, depositata nella stessa data al magistrato di Sorveglianza di Pavia, con copia per conoscenza al direttore della Casa di Reclusione di Vigevano, all’Asl competente e al Garante regionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
Dietro questo fatto di cronaca c’è una questione che va al cuore della nostra democrazia. Il diritto alla salute non si ferma davanti alle sbarre di una cella. L’articolo 32 della Costituzione non prevede eccezioni per i detenuti, così come l’articolo 3 che garantisce la pari dignità sociale di tutti i cittadini. «Il rispetto della dignità dei detenuti è un principio costituzionalmente garantito e non negoziabile», ribadisce l’associazione “Quei Bravi Ragazzi Family”. Una posizione che dovrebbe essere ovvia in uno Stato di diritto, ma che evidentemente ha bisogno di essere riaffermata davanti a situazioni come quella di Vigevano.
Ora la palla passa alla magistratura. Il magistrato di Sorveglianza di Pavia dovrà decidere se disporre l’ispezione urgente richiesta, mentre la Procura valuterà se aprire un fascicolo d’indagine sui fatti denunciati. Due binari paralleli per una vicenda che mette alla prova la tenuta del sistema giudiziario italiano. Nel frattempo, nella quinta sezione della Casa di Reclusione di Vigevano, 45 detenuti aspettano di sapere se il loro grido d’aiuto è stato ascoltato o se dovranno continuare a convivere con le zecche, le feci e i farmaci anonimi. Aspettano di sapere se in Italia denunciare le violazioni dei propri diritti è ancora possibile senza subire eventuali ritorsioni. La risposta delle istituzioni dirà molto sulla natura del nostro Stato di diritto. E sulla distanza che separa la Costituzione dalla realtà delle celle.