Il rischio della manovra adottata dal governo Meloni con la sua prima legge di bilancio - sia nella versione «tisana» commentata dal vice presidente forzista della Camera Giorgio Mulé, sia nella versione «disumana», da «macelleria sociale», denunciata dal presidente delle 5 Stelle Giuseppe Conte - era di compattare le opposizioni e, al tempo stesso, di dividere la maggioranza. Almeno il ricompattamento delle opposizioni è stato evitato dalla presidente del Consiglio e dal ministro dellEconomia Giancarlo Giorgetti. In piazza, salvo sorprese, non scenderanno insieme il segretario del Pd Enrico Letta e Giuseppe Conte, come accadde invece nella manifestazione romana per la pace. Dal cui corteo il primo dovette sfilarsi per le crescenti contestazioni nei suoi riguardi. Letta si terrà stretta la sua manifestazione di protesta già annunciata, in un percorso ancora da definire, per il 17 dicembre: troppo sotto Natale, hanno borbottato quanti non intendono forse parteciparvi. Sarà una protesta contro una manovra «improvvisata e iniqua» ha detto il segretario del Pd facendo storcere il muso allamico o compagno di partito Andrea Orlando, smanioso di riallearsi con Conte e convinto che la legge di bilancio sia ancora peggiore: «Lucidamente reazionaria». Le opposizioni sono quindi divise fra di loro e al loro interno: un vantaggio in più per il governo, pur alle prese anchesso - per carità - con problemi fra e nei partiti della maggioranza. Ma questi ultimi non sembrano proprio destinati ad esplodere in modo da compromettere la tenuta di una coalizione dove tutti sanno bene che ciò che ritengono sia mancato in questa manovra potrà essere perseguito e ottenuto nelle prossime solo a condizione che il governo sopravviva. E possibilmente per tutti i cinque anni della legislatura, non cadendo prima per lasciare cantare vittoria alle opposizioni neppure unite fra di loro. Più che i forzisti di Silvio Berlusconi - quelli della «tisana» di Mulé - nella maggioranza di centrodestra, o di destra-centro, ad essere anche in visibile sofferenza, come nella conferenza stampa tenuta dalla Meloni sulla manovra, è il vice presidente del Consiglio e leader leghista Matteo Salvini. Che ha dovuto fingere di non sentire e non capire quando il collega di partito e ministro dellEconomia Giancarlo Giorgetti ha rivendicato il merito di avere contenuto le richieste di maggiori spese per non far saltare i conti, e con i conti anche i rapporti con lUnione Europea. E ha dedicato questi sforzi con una certa commozione allamico e collega di partito appena scomparso Roberto Maroni, finito negli ultimi anni anni isolato nella Lega dal combinato disposto, diciamo così, delle aggressioni giudiziarie per la passata esperienza alla presidenza della regione Lombardia e per una maggiore consapevolezza mostrata e reclamata nel governo della cosa pubblica, senza troppe fughe in avanti dagli effimeri successi elettorali. Lultimo sondaggio disponibile è quello condotto da Swg per il Tg7 il 21 novembre scorso, dal quale la Lega risulta al 7,6 per cento contro l8,1 di una settimana prima, l8,9 delle elezioni politiche del 25 settembre di questanno e il quasi 35 per cento delle elezioni europee del 2019. Che fecero perdere la testa a Salvini, allora vice presidente del Consiglio e ministro dellInterno del primo governo Conte: tanto chegli reclamò «pieni poteri» con le elezioni anticipate per finire allopposizione, avendo ingenuamente scommesso sulla indisponibilità del Pd di Nicola Zingaretti a subentrargli nella maggioranza, con Conte sempre a Palazzo Chigi. Fu allora peraltro che la staffetta nel centrodestra, per assumerne la guida e portarlo alla vittoria elettorale dello scorso settembre, passò a Giorgia Meloni e ai suoi fratelli dItalia. Che ad ogni sondaggio, dopo il rinnovo delle Camere, continuano a crescere a spese appunto della Lega, oltre che della Forza Italia di Berlusconi, stremata dal progetto neppure tanto nascosto di contenere la Meloni instaurando con Salvini un rapporto privilegiato gestito a lungo da Licia Ronzulli. Che se non è riuscita a diventare ministro nellattuale governo, dove Berlusconi la voleva, ha conquistato quanto meno la postazione di capogruppo forzista al Senato. E da lì, francamente, anche se volesse, avrebbe ben poco da tessere di costruttivo o distruttivo con Salvini, secondo le preferenze.