«Quando si dice voler eliminare l’avversario per via giudiziaria… questo mi sembra uno dei casi di scuola». Il deputato di Azione Enrico Costa non è un garantista a intermittenza. Per questo, pur essendo «lontanissimo» dall’idea politica di Aboubakar Soumahoro, non può digerire la gogna mediatica che ha colpito il deputato dell’Alleanza Verdi-Sinistra. Il colpevole perfetto, l’uomo arrivato dal nulla, con l’idea di cambiare il mondo, capace di fare ingresso in Parlamento con gli stivali sporchi di fango. Un gesto simbolico che ha illuminato gli occhi di tanti e fatto storcere altrettanti musi. Un eroe o un farabutto, non c’è via di mezzo per Soumahoro, la cui pelle nera è diventata strumento per più fini: da un lato la carta da giocare a sinistra per dimostrare di credere in certi ideali e di essersi schierati tra i buoni, a destra per dimostrare che “quelli lì” buoni lo sono solo a imbrogliare.

L'inchiesta della procura di Latina

La vicenda è ormai nota: la procura di Latina ha aperto un fascicolo sulle cooperative Karibu e Consorzio Aid, nella cui gestione sono coinvolte Marie Therese Mukamitsindo, suocera di Soumahoro, e Liliane Murekatete, sua moglie, con lo scopo di approfondire aspetti contabili e verificare presunti maltrattamenti rivelati da alcuni ospiti delle due cooperative. Il deputato, però, non ricopre alcun ruolo in quelle coop e l’inchiesta non lo sfiora nemmeno. Ma sui giornali si è scatenata la caccia al “mostro”, un’occasione d’oro, per alcune testate, per declassare Soumahoro dal ruolo di difensore dei braccianti a quello di sfruttatore senza scrupoli.

La reazione di Soumahoro: «Mi vogliono distruggere»

La reazione del sindacalista diventato parlamentare non si è fatta attendere: in un video pubblicato sui suoi canali social, in lacrime, ha accusato chiunque stia speculando sulla vicenda di volerlo «distruggere», minacciando di querelare chi «sta usando i miei affetti per colpirmi». Perché attorno alla vicenda giudiziaria ancora tutta da scrivere i giornali si sono riempiti di racconti sul “falso mito” di Soumahoro, uno che, stando alla stampa di destra, sulle sfortune dei braccianti avrebbe costruito la propria carriera politica, altro che paladino della giustizia. Non bastassero questi racconti, a fare notizia è stata anche l’attività social della moglie. Colpevole di indossare vestiti e accessori costosi, di fare foto in posa in alberghi di lusso, di essere stata ribattezzata “Lady Gucci”. «Foto da vamp» che «non aiutano», ha scritto sul CorSera Goffredo Buccini, come se per essere credibili l’unico abito adatto sia quello da suora. Altrove si chiedeva conto a Liliane di come avesse acquistato quella roba. Domande che forse nemmeno la procura di Latina si è fatta, ma nel circo mediatico ogni lembo di pelle esposto è buono da cannibalizzare. L’inchiesta risale al 2019 e negli ambienti giornalistici non era certo una novità. Ma la bomba è esplosa soltanto poche settimane dopo le elezioni, quando Soumahoro ha iniziato ad occupare un banco che autorizzerebbe chiunque, a quanto pare, a chiedergli conto di cose che probabilmente non conosce. Che forse nemmeno esistono, se esiste ancora la presunzione di innocenza. Ma invece lui dovrebbe sapere tutto. E così il suo silenzio risulta sospetto e non basta che dica di non saperne nulla, cosa magari del tutto vera. Il motto “non poteva non sapere”, che si cuce addosso a chiunque svolga un ruolo pubblico, torna di moda, con l’autorità di un articolo del codice penale. Dimenticando che la responsabilità penale, se c’è, è personale.   «Rappresento l’onorevole Soumahoro esclusivamente per delle azioni legali che stiamo valutando di porre in essere per le avvenute diffamazioni nei suoi confronti - ha spiegato al Dubbio l’avvocato Maddalena Del Re -. Ribadisco che non è destinatario di alcun tipo di indagine, ma si è trovato costretto ad avere una difesa legale per gli attacchi ricevuti dai media. Quello che gli si chiede è di entrare nei dettagli di una indagine di cui non si conoscono i contorni: la procura di Latina ha rilasciato una dichiarazione stringatissima nella quale si dice espressamente che sta valutando eventuali profili penali di determinate condotte nel massimo di riserbo. Si è creato un cortocircuito mediatico per il quale a un personaggio politico e pubblico che è del tutto estraneo a una vicenda giudiziaria si chiede conto di qualcosa che non conosce, come se fosse una colpa non avere dettagli precisi di date o circostanze. Qualunque condotta assuma, per una malintesa interpretazione della comunicazione, in qualche modo rischia di risultare responsabile». L’occasione era infatti troppo ghiotta per non lanciarsi sul deputato e dedicargli titoloni da far accapponare la pelle. Ne citiamo uno solo: «Gli schiavisti in casa sua», copyright di Libero. Perché se il poveretto finito nel mirino - anzi, nemmeno: nei paraggi - di un’inchiesta giudiziaria non è del proprio partito di riferimento, il garantismo - “che è nel nostro dna”, si sente dire di solito - può pure andare a farsi benedire.

Soumahoro, lapidato a destra e scaricato a sinistra. Bonelli: «Ho commesso una leggerezza»

Così a destra sono subito partite le macchine delle interrogazioni e l’indignazione senza via di scampo, ma anche nel partito di Soumahoro non si è perso tempo: «Ho commesso una leggerezza», avrebbe confidato ad amici il leader dei Verdi Angelo Bonelli, dando ragione a chi ha malignato che la scelta di candidare Soumahoro non fosse legata alla sua storia, ma al fatto che fosse una figurina buona da giocarsi alle elezioni. Costa, dal canto suo, non lesina critiche a politica, stampa e inquirenti. «C’è stato un attacco molto feroce a Soumahoro dal punto di vista “giudiziario”, anche se non interessato direttamente, e dalle notizie frammentarie pubblicate si capisce chiaramente che qualcosa è trapelato dagli uffici giudiziari o dagli organi inquirenti. Ed è una cosa non particolarmente edificante. Siamo in fase di indagini - ha commentato al Dubbio -, ma queste persone sono già praticamente passate come responsabili, anche e soprattutto sulla stampa. Il fatto che si tratti di un avversario politico non fa venir meno certi principi, anzi valgono il doppio. E ho letto molti commenti definitivi da parte di persone normalmente “garantiste”, solo perché ad essere coinvolto è uno che siede dall’altra parte. Il processo è già stato fatto e la sentenza è già stata emessa».