*DIRETTORE ISPEG

Alcuni osservatori hanno mosso delle riserve sulle prime azioni nell’agenda del nuovo Esecutivo: tra queste, la recente entrata in vigore del decreto legge in materia di ergastolo ostativo che ha apportato alcune importanti modifiche alla disciplina previgente, che comunque andranno poi ratificate dal Parlamento e sulle quali, come noto, pendeva già una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Cassazione, sulla quale la Consulta è stata chiamata a pronunciarsi. L’iniziativa del Governo di agire con speditezza su tale materia e con la tecnica normativa del decreto legge va letta infatti proprio sulla scorta del termine ultimo che la Consulta aveva dato al Legislatore per pronunciarsi sul tema. Uno degli elementi che più ha fatto discutere concerne la stretta operata all’accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale per gli ergastolani ostativi non collaboranti per i quali - come già detto in queste pagine da chi scrive - si introdurrebbe una sorta di pericolosa probatio diabolica nella parte in cui si richiederebbe un severo onere di allegazione a carico dell’istante, ben oltre il richiamo al comportamento detentivo serbato e al percorso trattamentale in corso, sull’assenza di attuali e, in qualche modo, anche futuri elementi di connessione con forme di organizzazioni criminali. Elementi, questi ultimi che, secondo gli osservatori di cui sopra, paleserebbero evidenti profili di illegittimità costituzionale del decreto legge in vigore, atteso che, di fatto, la quasi totalità delle istanze presentate non potrebbe superare (ontologicamente, si direbbe) tali severi requisiti, rendendo quindi ineffettiva la norma. Su tale aspetto la Consulta, con comunicato stampa, ha rimesso gli atti alla Cassazione ritenendo che l’intervenuta disciplina medio tempore del decreto-legge ha mutato il quadro normativo. La Cassazione dovrà ora rivalutare la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale precedentemente sollevata e decidere se avanzare nuova richiesta sulla base del mutamento della norma-parametro. Ci si è chiesti cosa potrebbe succedere se, in costanza del breve periodo di vigenza del decreto legge e sulla scorta dei requisiti introdotti, un istante si vedesse respinta la sua richiesta dal Tribunale di Sorveglianza e poi, successivamente, con una pronuncia di illegittimità costituzionale, il Giudice delle Leggi censurasse la disciplina d’urgenza “introducendo” una disciplina di maggior favor che se fosse stata presente già in sede di prima istanza avrebbe potuto consentire al Tribunale di Sorveglianza di esprimersi diversamente, magari concedendo la liberazione condizionale. L’ordinamento, in qualche modo, già prevede un rimedio: entro i termini di legge, è sempre possibile ricorrere per Cassazione avverso le ordinanze del giudice dell’esecuzione, deducendo l’intervenuta pronuncia di illegittimità costituzionale (che si applicherebbe retroattivamente all’istante perché in favor) della normativa censurata sulla scorta della quale il Tribunale di Sorveglianza ha emesso la decisione impugnata. Inoltre, non è da escludere la possibilità, da un lato, di proporre incidente di esecuzione sulla scorta del mutato  orientamento normativo, dall’altro, che un’eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale - intervenendo anche sulla norma che consente all’istante di riproporre la domanda di liberazione condizionale al giudice dell’esecuzione solo dopo l’intervenuto decorso del termine di sei mesi dall’irrevocabilità del provvedimento di rigetto - possa introdurre l’eccezionale possibilità di aggirare questi termini a seguito dell’intervenuta censura di incostituzionalità, consentendone una riproposizione “quasi immediata”, sul modello di un riesame di fonte giurisprudenziale. I dubbi sono molti; mai come ora occorrerà aspettare e attendere quello che sarà il dialogo, si auspica, o il braccio di forza, tra il decisore politico e quello giuridico.