• 1. La “forza di gravità” delle convinzioni.

Si era detto, durante la campagna elettorale, che nessuno parla di giustizia. Invero, la giustizia non ha bisogno di molte anticipazioni perché si presenta da sola, con i problemi che la vita prospetta nella sua evoluzione. A conferma di quanto detto, il primo provvedimento del nuovo governo è stato un decreto legge proprio in materia di giustizia (penale), con il suo corredo di contrapposizioni. Era già stata sollevata la prima questione di legittimità costituzionale relativamente alla rispondenza ai principi della Carta dei criteri della decretazione d’urgenza, con riferimento al regime transitorio del decreto legislativo n. 150 del 2022, protratto dal citato Dl n. 162 del 2022 in relazione alla intervenuta trasformazione di alcuni reati da perseguibili d’ufficio a procedibili a querela.

Anche a voler ritenere fondata la questione (il dato è tuttavia molto, molto discutibile) e comunque ritenendo (nonostante il contrario avviso espresso da un autorevole esponente della dottrina) che la normativa di favore di cui l’imputato avrebbe potuto godere (senza il rinvio della vacatio legis dal 1° novembre al 30 dicembre) non sarebbe applicabile, l’aver rimesso la questione alla Corte costituzionale impedirà all’imputato (a differenza degli altri, che se ne potranno avvalere dal 1° gennaio 2023) di veder applicare la norma favorevole. Sarebbe stato più appropriato un rinvio del processo in cui è stata sollevata questione di costituzionalità, anche se in questo modo la questione di costituzionalità, difettando la rilevanza, non sarebbe stato possibile sollevarla. La vicenda, naturalmente, è suscettibile di molte valutazioni condizionate dalla “forza di gravità” dei propri convincimenti.

  • 2. Accusatorio e inquisitorio: la truffa delle etichette.

Intorno alla natura del processo penale vigente nel nostro Paese è da tempo in atto una autentica truffa delle etichette che, avvalendosi di questa definizione, piega le soluzioni che si vogliono introdurre. Sono plurimi gli esempi di questa autentica operazione di mistificazione. È noto che la differenza del modello accusatorio da quello inquisitorio è legata al luogo di formazione delle prove. Si può quindi dire che nel codice ( originario) del 1988, impostato sul sistema bifasico, il modello articolato nei momenti della ricostruzione del fatto e in quello della rappresentazione del fatto, era sicuramente – unito ad altri corollari – un modello impostato sul canone dell’accusatorietà.

È risaputo a tutti – ma pare non proprio a tutti – che quel modello si è fortemente incrinato con le famose sentenze del 1992 della Corte costituzionale, e che la modifica dell’art. 111 Cost. non ha ripristinato l’originario modello, ma solo messo argine a ulteriori derive, fermo restando che le modifiche medio tempore intervenute non potevano essere corrette. Sulla nota di queste promesse, nel giustificare le restrizioni del giudizio d’appello, si afferma che il sistema accusatorio – dimenticando il ruolo non riproponibile nel nostro processo della giuria – non prevede giudizi di impugnazione e che quindi gli interventi corretti del nostro sistema dei gravami è pienamente giustificabile, con le annunciate ulteriori correzioni dell’attuale normativa.

Il contrapposto schema argomentativo si ripropone a seguito delle modifiche introdotte dalla riforma Cartabia. L’accentuato ruolo che il d. lgs. n. 150 del 2022, in attuazione della legge delega n. 134 del 2020, assegna (in ossequio alla istanze deflattive del Pnrr) ai riti speciali a contenuto premiale, (anche molto accentuato – così da favorire le exit strategies dal processo unita a condotte risarcitorie e riparatorie) è visto, per un verso, nella misura in cui sono incardinate nella struttura dalle indagini preliminari governate dai forti poteri del pm (non adeguatamente controllati dal giudice delle indagini preliminari), come una forte propensione all’inquisitorietà temperata in una logica processuale “a trazione anteriore”, per un altro verso, come la conferma di un rito processuale che meriterebbe - sul modello statistico anglosassone - la residualità del dibattimento connotato dalla violenza accusatoria.

  • 3. Casualità o intenzionalità nella scelta della durata delle indagini.

Com’è noto, la riforma Cartabia, nel dichiarato intento – da ritenersi non realizzato – di ridurre il tempo delle indagini, ha eliminato la prima proroga delle indagini preliminari, cadenzata dopo i primi 6 mesi e autorizzata per altri 6 mesi, consentendo al pm di svolgere attività investigativa per un anno (salva una ulteriore proroga di altri 6 mesi, così da confermare la durata massima di 18 mesi). Venendo incontro al necessario controllo sulla tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato delle iscrizioni oggettive e soggettive, il legislatore ha previsto un meccanismo di controllo, affidato al giudice, su richiesta dell’indagato, da attivare in tempi brevi (10 giorni) dalla conoscenza del fatto della ritardata iscrizione, con la conseguente possibilità che il giudice determini la retrodatazione della iscrizione.

Senza entrare nel merito dei presupposti del riconoscimento della tardività dell’atto, da ritenersi di non agevole materializzazione, facendo il legislatore riferimento a situazioni inequivocabili e non giustificate, il nuovo meccanismo appare in grado di sterilizzare alcune implicazioni della retrodatazione, cioè, la conseguente inutilizzabilità degli atti fatti fuori termine. Nel sistema che si va a sostituire con l’entrata in vigore della riforma, infatti. a differenza di quello precedente, le ricadute della violazione sono marginali, mentre lo sarebbero con il meccanismo della proroga. Infatti, una eventuale retrodatazione riconosciuta dopo la proroga determinerebbe che la proroga è stata concessa tardivamente con la conseguente inutilizzabilità di tutte le attività compiute fuori dalla proroga che risulterebbe tardiva. Nell’attuale disciplina, invece, la retrodatazione colpirebbe solo le attività comparse nella parte finale delle attività svolte dal pubblico ministero.

  • 4. La sterilizzazione dei criteri di priorità.

Molti ricorderanno e tuttora ricordano l’acceso dibattito sui criteri di priorità nelle attività di indagine e nell’esercizio dell’azione penale: l’intervento del Parlamento, i poteri del Consiglio Superiore in materia, il timore di influenze esterne, la violazione dell’art. 112 Cost., cioè del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Sul punto è sceso il silenzio. Invero, il tema è stato introdotto dalla riforma Cartabia nell’art. 3 bis delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale ove si fa riferimento a quanto previsto dai modelli organizzativi degli uffici di procura.

La relativa disciplina, infatti, è stata introdotta – richiamando i criteri in materia di cui alla legge delega n. 134 del 2022, al comma 9, lett. i, dell’art. 1 – all’art. 13 della legge n. 71 del 2022, che ha disciplinato in parte la riforma dell’ordinamento giudiziario. A parte la mancanza di sanzioni sul punto, i criteri, in altre parole, sono stati assorbiti - e oscurati nel più vasto piano organizzativo delle singole procure - risultando in tal modo sterilizzati. Bisognerà vedere se il Parlamento, a quale spetterebbe una iniziativa in materia - nonostante difficoltà in ordine ai tempi, ai modi, ai contenuti, delle relative indicazioni - saprà - o vorrà - esprimersi in materia, seppur risultando ex lege necessario un suo intervento.