Si apre oggi il processo, davanti al tribunale di Roma, che vede imputato lo scrittore Roberto Saviano accusato di diffamazione nei confronti di Giorgia Meloni. Lo scrittore aveva definito «bastarda» l’attuale presidente del Consiglio nel corso di una trasmissione tv su La7 nel dicembre 2020. Il tema al centro della puntata erano gli arrivi irregolari e i naufragi nel Mediterraneo. Presenti in tribunale, tra gli altri, l’attrice Kasia Smutniak; gli scrittori Sandro Veronesi, Michela Murgia e Nicola Lagioia; e il direttore del quotidiano La Stampa Massimo Giannini. L’udienza è durata pochi minuti ed è stata aggiornata al 12 dicembre sempre davanti al tribunale monocratico.

Saviano a processo, i legali di Meloni: "Valutiamo di ritirare la querela". Ma Salvini chiede di costituirsi parte civile

«La querela nasce dal livore utilizzato. Io ho insegnato a mio figlio che la parola "bastardo" è una offesa, valuteremo comunque se ritirare la querela», afferma l’avvocato Luca Libra, legale del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, prima di entrare in aula a Roma nel processo a carico dello scrittore. E intanto il leader leghista Matteo Salvini, come annuncia Saviano, «ha presentato istanza per essere parte civile in questo processo». «Salvini lo avrò contro sia in questo processo sia nel processo l’anno prossimo per la frase "il ministro della malavita" - ricorda il giornalista -. In aula si è detto che non dovevo fare il comizio ma io voglio solo difendermi. Credo di aver il record di giornalista, personalità, individuo più processato da questo governo».

Saviano dopo l'udienza: «Dinanzi ai morti e agli annegamenti non potevo stare zitto»

«Mi ritrovo oggi qui e ritengo singolare che uno scrittore sia processato per le parole che spende, per quanto dure esse siano, mentre individui inermi continuano a subire atroci violenze e continue menzogne», spiega Saviano al termine dell’udienza. «L’opportunità, in questo processo, non è per me, ma perché ho fiducia che si possa finalmente esorcizzare la più subdola delle paure e cioè che avere un’opinione contraria alla maggioranza significhi avere un’opinione non legittima, e che quindi avere un problema con la maggioranza di questo Governo significhi avere un problema con la giustizia - prosegue Saviano - lo sono uno scrittore: il mio strumento è la parola. L’accusa è quella di aver ecceduto il contenimento, il perimetro lecito, la linea sottilissima che demarca l’invettiva possibile da quella che qui viene chiamata diffamazione. Sono uno scrittore e quindi, avendo ottenuto la libertà di parola prima di qualsiasi altra, sono deciso a presidiarla. E lo farò non sottraendomi, non proteggendomi dietro una dialettica comoda, sicura, approvata e già per questo innocua», dice lo scrittore. «Dinanzi ai morti, agli annegamenti, all’indifferenza, alla speculazione, soltanto poco più del 10% dei migranti vengono salvati dalle Ong, e tanto basta per aver generato un odio smisurato verso di loro e verso i naufraghi stessi, dinanzi a quella madre che ha perso il bambino, io non potevo stare zitto. Non potevo accettarlo - ha sottolineato Saviano - E sento di aver speso parole perfino troppo prudenti, di aver gridato indignazione perfino con parsimonia». In un passaggio della dichiarazione, Saviano evidenzia come «si attaccano le Ong perché non si vogliono testimoni che raccontino questo scempio. Dinanzi a tutto questo, non c’è la volontà genuina di ragionare sulle quote di migranti da accogliere, sulla gestione dell’accoglienza, sugli investimenti. Quello che mi sento di promettere a chi difende le mie parole e a chi le accusa chiedendo che io sia punito per averle pronunciate - chiosa Saviano - è che non smetterò mai di stigmatizzare, di analizzare, di usare tutti i mezzi che la parola e la democrazia mi concedono per smentire questo scempio quotidiano».