Ancora un’assoluzione per l’ex governatore della Calabria Mario Oliverio. L’ultima riguarda l’accusa di peculato, per la quale la procura di Catanzaro aveva chiesto una condanna a quattro anni. Oliverio era finito a processo a novembre del 2020 assieme all’imprenditore spoletino Mauro Luchetti e l’ex parlamentare del Partito democratico Ferdinando Aiello (per i quali era stata chiesta una condanna a 2 anni e otto mesi). L’inchiesta, coordinata dal pm Graziella Viscomi, ruotava attorno alle presunte irregolarità relative all’uso di quasi 100mila euro della Regione Calabria.

I fatti risalgono all’estate 2018 quando, nell’ambito del Festival dei Due Mondi a Spoleto, l’allora governatore partecipò agli Incontri di Paolo Mieli organizzati per molte edizioni del Festival da Hdrà di Luchetti. Secondo la procura, l’iniziativa venne finanziata con fondi della Regione destinati alla promozione turistica, spesi per finalità privatistiche di promozione politica dello stesso governatore. I 100mila euro, nell’ipotesi investigativa, sarebbero stati spesi per pagare uno spot di due minuti che non sarebbe mai andato in onda, un’intervista con l’ex direttore del Corsera Paolo Mieli, il pernottamento, il vitto ed i comfort per i vip ospiti del Festival di Spoleto. Ma non solo: quei soldi sarebbero serviti anche per pagare una cena di gala per sessanta ospiti, per il noleggio delle berline per gli spostamenti dei vip e 500 copie di uno dei libri di Mieli stampate da Mondadori. Subito dopo la notizia dell’inchiesta,

Oliverio accusò la procura di agire ad orologeria proprio poco prima delle elezioni regionali, alle quali poi non si presentò. «Caratterizzare questa fase immediatamente a ridosso delle elezioni regionali significa condizionare oggettivamente quelle che sono le vicende politiche - commentò all’epoca -. Però se i processi non si fanno se non dopo anni e magari si fissa anche al punto giusto una udienza per condizionare le scadenze, credo che debba fare riflettere ai fini della sostanza democratica». Anche nell’intervista rilasciata a Mieli, spiegò «c'è stata una promozione della Calabria perché il massimo rappresentante della Calabria che viene intervistato in una sede come quella non promuove se stesso, ma promuove la Calabria».

Per il Tribunale di Catanzaro, che ha assolto anche gli altri imputati, il fatto non sussiste. E si tratta della seconda assoluzione per l’ex governatore, già coinvolto nell’inchiesta “Lande desolate”, dalla quale uscì pulito, anche allora con la stessa formula assolutoria. La procura generale di Catanzaro decise di non impugnare quella sentenza, ma l’indagine, nel 2018, costrinse l’allora presidente a tre mesi di “confino” forzato nella sua casa di San Giovanni in Fiore. E proprio a causa di quell’inchiesta fu costretto a rinunciare alla sua ricandidatura, su pressione della segreteria romana del Pd, che per evitare imbarazzi decise di metterlo fuori gioco, decretando, di fatto, la vittoria del centrodestra.

Ciò nonostante la Cassazione, nell’annullare l’obbligo di dimora disposto dal gip, lo avesse definito «oggetto di un chiaro pregiudizio accusatorio», con il quale l’accusa avrebbe attribuito al politico la condivisione delle modalità fraudolente con cui dovevano essere finanziate alcune importanti opere per la Regione Calabria. In quelle sentenze, aveva spiegato Oliverio al Dubbio, «c’è una risposta chiara a quella che è stata l’inconsistenza e la gravità di un’inchiesta che mi ha fatto finire in un tritacarne mediatico per anni. Non solo, è stata questa la vera ragione per cui il Pd ha detto no alla mia candidatura».

Su quel pronunciamento della Cassazione, aveva evidenziato, «i dirigenti nazionali del Pd non hanno detto una parola». Nemmeno dopo la sentenza, pronunciata dopo le elezioni e, dunque, con il problema delle liste per le candidature già superato. «Ora ci si arrampica sugli specchi, ma era evidente anche alle pietre in Calabria e non solo – che la ragione era quella. C’è stato un atteggiamento supino e subalterno, non so per quali ragioni, ma la linea scelta è stata questa e segna il comportamento del Pd sulle problematiche della giustizia».