Un nome del Terzo Polo in Lombardia, uno del Pd nel Lazio. È questa l’offerta che Carlo Calenda lancia a Enrico Letta, dopo la presa di posizione con cui Giuseppe Conte ha di fatto ha chiuso a ogni ipotesi di alleanza per il dopo Zingaretti. Dunque, secondo lo schema del leader di Azione, il Pd dovrebbe appoggiare Letizia Moratti contro Luciano Fontana, in cambio del sostegno di Azione ad Alessio D’Amato, assessore dem alla Sanità laziale.

Una proposta equa, se fossimo davanti a una normale contrattazione politica tra alleati. Invece, Moratti è scesa in campo senza chiedere alcun parere al Nazareno e il nome dello stesso D’Amato è stato lanciato dalla mischia sempre da Calenda senza consultarsi con nessuno. «Eppure sarebbe un accordo facile: un nome del Terzo Polo sostenuto dal Pd ( che ha possibilità di vincere) in Lombardia e un nome del Pd sostenuto dal Terzo Polo nel Lazio. Ufficio complicazione affari semplici», scrive il leader di Azione su Twitter, giocando col corpaccione imbelle e frastornato dei democrat. Non solo. Sull’ipotesi di primarie per la Regione Lazio Calenda taglia corto: «C’è un solo candidato ed è uno di loro. Il Pd facesse un bel ticket con Marta Bonafoni».

Ricapitolando, dunque, l’inventore del Terzo Polo ha già deciso per tutti l’aspirante governatore, l’aspirante vice governatrice e il metodo di selezione: il suo gradimento. Al Nazareno non possono far altro che incassare l’ennesima sberla senza perdere il controllo. Zingaretti si dice genericamente convinto che nella sua regione si possa vincere, «anche senza il M5s», ma la realtà è che dem non sembrano in grado di esprimere una linea. E neanche ci provano a porsi come partito guida di quello che un tempo veniva definito “campo largo”, rimanendo in balia delle trovate altrui.

L’unica soluzione diffusamente praticata è dividersi tra nostalgici di Conte e tifosi del ciclone Calenda. Come Luigi Zanda, che in un’intervista al Corriere della Sera chiede al suo partito di sostenere Letizia Moratti in Lombardia, con buona pace della storia politica della candidata e della sua fuga in avanti che ha bruciato anche l’unico nome che il Pd aveva individuato come papabile: Carlo Cottarelli.

La riserva della Repubblica col trolley sempre in mano si è infatti ritirata dai giochi dopo l’annuncio unilaterale del Terzo Polo. Ma la candidatura dell’ex ministra berlusconiana risulta indigesta a buona parte del Pd nazionale e lombardo che potrebbe puntare sul sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, per provare ad arrivare almeno secondo. Anche se qualcuno spera ancora di riuscire a convincere Giuliano Pisapia a lasciare Bruxelles per dedicarsi alla sua regione.

L’impresa è ardua, ma «non impossibile» e se «Giuliano accettasse si potrebbe riaprire il dialogo col M5S», confidano i sostenitori dell’ex sindaco di Milano. Ma tornare a parlare coi grillini in Lombardia significherebbe far saltare l’intesa col Terzo Polo nel Lazio, almeno secondo la “dottrina Calenda” che obbligherebbe il Pd a tagliare i ponti con i pentastellati ovunque, pena l’esclusione dal cuore del leader di Azione. Dal vicolo cieco sembra dunque difficile uscire.

«Carlo Calenda al centro e Giuseppe Conte sul versante 5 stelle pensano di sfruttare il momento politico cercando di mettere ogni giorno e ogni ora ancor più in difficoltà il Partito democratico», prova a dire Gianni Cuperlo, esortando il suo partito a trovare una strada propria, «riscoprendo coraggio, apertura, coerenza con le scelte che si compiono, affetto per la nostra casa. Da rifondare, ma pur sempre la nostra casa». E in attesa della rifondazione, il rischio è quello di far la fine dei cugini socialisti francesi: demoliti sotto i colpi netti di Emmanuel Macron e Jean- Luc Mélenchon. Due bulldozer opposti ma con messaggi politici chiari. Quella stessa chiarezza che al Pd manca da troppo tempo.