Lunedì scorso, un detenuto adolescente di 17 anni ha tentato di suicidarsi con un cappio ricavato dalle lenzuola nel carcere minorile di Quartucciu, in provincia di Cagliari. A salvarlo dalla morte sono stati gli agenti di polizia penitenziaria presenti in istituto che sono prontamente intervenuti.

Due settimane prima, questa volta nel carcere minorile di Torino, un altro adolescente è stato salvato in extremis da un tentativo di suicidio. Siamo giunti a 74 detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno, ma i tentativi di suicidio sono un dato ulteriore che fa comprendere il crescente malessere all’interno delle carceri italiane.

“I detenuti minori sono i più fragili e perciò l’attenzione va decuplicata”, ha commentato il segretario generale della Federazione nazionale della sicurezza Cisl della Sardegna, Giovanni Villa, ringraziando soprattutto gli agenti penitenziari per il loro lavoro spiegando che si tratta “dell’ennesima vita salvata all’interno di un istituto penitenziario”. Ed è vero. Se non abbiamo raggiunti numeri di suicidi ancora più drammatici, il merito è degli agenti. Ma non può essere tutto scaricato su di loro. Come merge da più rapporti sulla detenzione come quelli elaborati da Antigone, emerge chiaramente come le condizioni di detenzione siano elementi che influiscono sull’eziopatogenesi di questi gesti estremi: gli istituti penitenziari ove si sono registrati i più alti numeri di episodi di autolesionismo e di tentato suicidio sono infatti, emblematicamente, quelli con il maggior tasso di sovraffollamento nonché quelle carceri laddove l’assistenza psichiatrica e psicologica è carente.

Ma questo è ciò che riguarda il carcere per adulti. Dall’altro lato, il disagio minorile trova ancora risposta nel medesimo Codice Rocco che, con la sua filosofia totalitaria - come ha ben spiegato il presidente di Antigone Patrizio Gonnella – «è permeato di un’idea di pena e di società che nulla ha a che fare con qualsivoglia riflessione pedagogica e con la centralità dell’essere umano, tanto più se questo è un soggetto in evoluzione e in corso di maturazione psico- fisica». Per questo, le nuove conquiste sul terreno pedagogico ed educativo, - ha sottolineato sempre Gonnella «ci consiglierebbero di sottrarre i minori a qualunque codice penale per adulti, ovviamente a maggior ragione a quello attualmente in vigore perché privo di una qualsiasi attenzione ai bisogni della persona accusata di un reato, tanto più se ancora in fase di crescita».

Da qui l’idea di un codice penale per i minori, proprio perché le carceri minorili non posso sempre essere la risposta, solo per fare uno dei tanti esempi, al delitto di oltraggio commesso da un adolescente. Il rispetto degli altri finisce per pretenderlo rinchiudendo un ragazzo dietro le sbarre. Così lo si punisce, ma non si educa.