Come inizio, per un guardasigilli garantista, non è il massimo: unna legge sull’ergastolo ostativo che riesce persino a peggiorare il testo grillino votato alla Camera nella scorsa legislatura; il nuovo reato di rave party che pure sfida la Costituzione, cioè la libertà di riunirsi sancita all’articolo 17; dulcis in fundo, il rinvio della riforma penale firmata Cartabia, incluse l’estensione delle pene alternative e la giustizia riparativa, ora esposte a modifiche. Giorgia Meloni è soddisfatta: «Sono misure identitarie che ci assicurano consenso», ha confidato ad alcuni ministri. Ma nel vararle, di fatto, ha reso già complicatissima la posizione di Carlo Nordio. Il ministro della Giustizia è formalmente l’autore delle proposte hard varate l’altro ieri a Palazzo Chigi: serviva davvero una figura del suo calibro e del suo spessore, per una politica giudiziaria del genere? C’è da chiederselo. C’è da chiedersi se davvero ora il guardasigilli rischi di passare per l’abito elegante indossato come paravento delle peggiori intenzioni. Sarebbe una mortificazione, per la storia e il pensiero di un grande teorico del garantismo e del riequilibrio fra i poteri quale Nordio certamente è. Con ordine, vediamo cosa è successo. Nel caso dell’ergastolo, Nordio ha presentato lunedì in conferenza stampa quel segmento del decreto come l’accoglimento degli appelli rivolti dalla Consulta. Ma si tratta di una pietosa bugia. Come ha notato l’Unione Camere penali, si arriva a un peggioramento della preesistente disciplina sul 4 bis, addirittura. Perché intanto la possibilità di accedere alla liberazione condizionale, per gli ergastolani non collaboranti, è subordinata a una selva così fitta di vincoli da rendere l’obiettivo irraggiungibile. A Nordio pare vada bene, ma forse non dice tutto quello che pensa. Come segnalato sul Dubbio di ieri da Damiano Aliprandi, si è arrivati a recuperare spezzoni del vecchio articolato grillino, rimasti fuori dalla legge poi votata, nella scorsa legislatura, alla Camera. Sempre per citare la nota dei penalisti, «si estendono le ostatività anche ai reati connessi non ostativi. In sostanza, chi sia stato condannato per un reato ostativo (es.: concussione) e per reati connessi (es: falso ideologico, truffa), dopo aver scontato la pena principale in regime di ostatività», spiega l’Ucpi, «dovrà scontare nel medesimo regime anche i reati connessi pur non ostativi». Prodezza che colpisce tra l’altro non tanto i mafiosi quanto appunto, gli ostativi non ergastolani condannati per reati contro la Pa, con una “retata” che ricorda la spazzacorrotti di Bonafede. Nel caso del reato di rave party, vengono smentiti ogni ipotesi di depenalizzazione e i relativi auspici di Nordio: per citare stavolta l’impietoso documento diffuso ieri da Magistratura democratica, la nuova fattispecie non si applica solo alle feste ma si scontra direttamente con l’articolo 17 della Costituzione, giacché affida «la selezione tra l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito (quello di riunione e manifestazione pubblica) e la consumazione di un gravissimo reato (punito con pene esemplari che vanno da 3 a 6 anni) a giudizi prognostici (“…può derivare un pericolo…”), collegati non già a un evento ben definito, ma a valutazioni soggettive (“…per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica…”)». E quindi, «d’ora in poi, se in una pubblica piazza si riunisce un gruppo di cinquanta giovani, per festeggiare un lieto evento, facendo un po’ di schiamazzi, potranno incontrare un solerte funzionario di Polizia giudiziaria che ritenendo quel raduno pericoloso, decida di intervenire», fino «all’arresto in flagranza degli organizzatori». Altro che depenalizzare. Dopodiché, sul terzo segmento del Dl Giustizia di lunedì, il rinvio della riforma penale, già ci si gioca tutto. Perché a essere esposta agli interventi restrittivi di FdI e Lega in fase di conversione sarà soprattutto la norma secondo cui può essere il giudice di merito a irrogare la misura alternativa. Così i securitari della maggioranza, e la premier, potranno affermare che in carcere, per certi reati, ci si entra, e che la pena extramuraria si ottiene al limite solo dopo aver fatto un po’ di penitenza dietro le sbarre. Ecco: considerato che Nordio definisce il carcere «la priorità», dovrà avere la forza di opporre, alle tentazioni “identitarie” di FdI, l’intollerabile emergenza del sovraffollamento e dei suicidi, che il testo di Cartabia prova a contrastare e che Meloni pare voler risolvere solo con un «nuovo piano carceri». Ma il ministro può reggere tutto questo? Intanto, con due sergenti di ferro nominati sottosegretari, Andrea Delmastro di FdI e Andrea Ostellari della Lega, è già politicamente isolato. Sì, gli restano il viceministro Francesco Paolo Sisto e Forza Italia. Ma intanto gli azzurri, già prima del blitz, erano rassegnati all’idea che «sull’ostativo» sarebbe passato «il testo grillino», come spiega riservatamente un ministro in quota FI. In teoria a Nordio restano la separazione delle carriere e qualche intervento sul penale, come il divieto d’appello per i pm e la revisione (almeno) dell’abuso d’ufficio. Ma proprio il guardasigilli, nel suo primo comunicato, ha ammesso che «le priorità sono altre», cioè l’efficienza. Meloni non ha alcuna voglia di aprire un fronte con l’Anm, come avverrebbe con la riforma sulle carriere. Di fatto, Nordio ha mani legate su tutti i fronti, ed è stato sconfessato, già al primo colpo, su carcere e depenalizzazione. L’idea, per FdI, è che la linea delle ultime ore sulla giustizia resti prevalente. Lo richiede l’asserita «identità» dell’elettorato di destra. Nordio, oltre che isolato, rischia di trovarsi svuotato di poteri e iniziativa. E la legislatura appena iniziata rischia a sua volta di rivelarsi peggiore, per le garanzie, di quella appena trascorsa.