UNO. Eligendo non aveva ancora messo in rete i definitivi dati elettorali quando televisioni, giornali, social (e capi partito) hanno cominciato a spiegare che il Pd era lo sconfitto, anzi la forza duramente sconfitta dagli italiani che si erano recati alle urne. Immediate anche le soluzioni possibili per far fronte al tonfo: il Pd si allei coi 5s che a sinistra sono usciti come i veri vincitori; oppure, si consegnino al duo Calenda-Renzi che ha accumulato in quattro e quattr’otto un 7,79 che marcia verso un otto per cento pieno.

Rapidamente è arrivato il riconoscimento della sconfitta da parte dello stesso Letta, segretario del partito e stratega della campagna elettorale, che ha informato che nel Pd tutto veniva rimesso in discussione: nome, progetto, esistenza. Nessuna furbizia del leader sconfitto, che ha aggiunto: resto in carica il tempo necessario per far scegliere al Pd il suo futuro. Ma fin da ora le mie dimissioni sono irrevocabili: comunque vada io non sarò più il leader del Pd. Così i giornali, le televisioni, i social. Così la pioggia delle dichiarazioni.

DUE. Ma da sempre è il tempo, non l’immediatezza, il più lucido e onesto analista dei risultati elettorali. Per funzionare si rivolge a sé stesso, perché il tempo ha bisogno di tempo. Accade perché, così è andata anche questa volta, inizialmente il risultato elettorale viene letto sulla base delle aspettative costruite dal precedente dibattito elettorale e non sui dati elettorali che prendono forma col flusso dei voti.

Le aspettative, specie da quando protagonisti dello scontro politico sono stati sondaggisti, giornali, giornalisti (specie televisivi) ed esperti di social, non riflettono più, sia pure con margini d’errore, gli orientamenti dei cittadini che un tempo da dentro i partiti, ora sempre più in crisi, fornivano frammenti ed elementi di valutazione significativi. Così, man mano che ci si allontana dalla data delle elezioni la fuffa delle aspettative si dilegua e diventa necessario rivolgersi alla durezza dei dati reali per capire cos’è veramente successo.

TRE. Sulle elezioni un punto è chiaro: il solo partito a registrare un vero successo è stato Fratelli d’Italia. È il solo a segnalare un exploit paragonabile a quello ottenuto nel 2018 dal M5s che, in questa occasione, ha invece registrato la sconfitta più cocente. FdI incrementa il suo patrimonio elettorale di circa il 600 per cento passando dal 4,35 al 26 per cento (e da 1 milione 429mila voti a 7 milioni e 300mila) mentre i 5s crollano da 10 milioni e 732mila voti a 4 milioni e 333mila. È vero che gli elettori sono diminuiti per la crescita dell’astensione ( sconfitta che va registrata sul conto dell’intero ceto politico italiano). Ma il fatto è che FdI è stata votata da quasi 6milioni di persone in carne e ossa in più rispetto al 2018, mentre i 5s sono stati votati da 6milioni e 400mila persone in meno. Insomma, le elezioni sono state vinte da FdI che da solo ha cancellato e nascosto le pesanti sconfitte del resto del centrodestra ( sia la Lega di Salvini che Fi di Berlusconi che perdono ognuno oltre la metà dei voti presi nel 2018).

Dopo i 5s la Lega e Fi, il peggior perdente è certamente il Pd. Perché è vero che percentualmente, sia pure in quantità irrisoria, avanza ( dal 18,76 al 19,07) attestandosi come seconda forza politica italiana, ma è anche vero che 805mila persone in carne e ossa che l’avevano votato nel 2018 questa volta gli hanno voltato le spalle. Ed è soprattutto vero che il Pd non è riuscito a dispiegare una strategia che avrebbe potuto rimettere in discussione la sostanza del risultato elettorale.

Lo spoglio racconta che i rapporti di forza reali del paese non coincidono con la forza ufficialmente assegnata a schieramenti e partiti. E questo è un dato molto grave col quale il paese dovrà fare i conti. Ovviamente, e guai se non fosse così, questa distorsione non diminuisce di un millimetro la vittoria dell’intero centrodestra spinto e trascinato sulle spalle da FdI e da Giorgia Meloni che ha conquistato sul campo, e per libera scelta degli italiani, la premiership.

Ma bisogna chiedersi, in un quadro così contraddittorio e frantumato, di fronte a una crisi che investe l’intero sistema politico italiano, perché il Pd (unico a far crescere sia pure lievemente la propria forza, oltre Fdi) sia riuscito a diventare lo sconfitto principale, tanto che per la gravità del colpo sarebbe bene sparisse dal contesto politico del paese. C’è probabilmente nell’indurimento delle analisi e delle proteste contro il Pd una richiesta d’intervento che viene avvertita non risolvibile senza un rinnovamento profondo di quello che, sia pure deformato dal voto e dal sistema elettorale, rimane il punto centrale per la riorganizzazione di una strategia di rinnovamento democratico del paese. Ecco perché, probabilmente, sbaglierebbero gli analisti a considerare il Pd come un partito defunto.