Vuole solo tecnici, e che siano super, nei ministeri chiave. Si consulta con Draghi, che stima essendone ricambiata, ed è il suo principale suggeritore. Ha imposto ai suoi di non festeggiare la vittoria, niente da festeggiare in un’Italia che rischia di rimanere al freddo e al buio. Frena qualunque ambizione non sostenuta da adeguata esperienza. Ha un grande senso di responsabilità, consapevole dei gravosi compiti che l’attendono. E no, non è Mario Draghi: è Giorgia Meloni, per come la descrivono i media in questi lunghi giorni di limbo. “Premier in pectore” la chiamano, in attesa che vengano espletate tutte le complesse procedure costituzionali che precedono la scelta del presidente del Consiglio incaricato.

Scorrendo queste frasi, che in parte sono state pure titoli di grandi giornali d’informazione, c’è da trovare più ansiogeno lo storytelling della realtà. Meloni dovrà affrontare un carico degno di un Atlante, tra guerra, inflazione che rischia di scivolare verso la stagflazione, crisi energetica che può far deflagrare l’Azienda Italia come tutto il Paese casa per casa, più un debito pubblico che veleggia oltre i 2.700 miliardi di euro. E la si racconta oltre che come avesse già ricevuto l’investitura da Mattarella - come una madonna al centro di un presepe. Coiffeur e allenatore compresi, ovviamente.

Per dare la misura e il tono dello storytelling, a un famoso e discusso direttore di giornale che è in realtà la più brillante delle penne satiriche è bastato mettere in fila e virgolettare i brani dei cronisti dei principali quotidiani italiani: i contenuti sono giusti, non sbaglia un colpo, non promette quel che non può mantenere, parla di politica e l’applauso esplode, e via celiando in festante florilegio. E perfino opinionisti, opinion maker di vaglia pluridecennale, che vanno in tv e dichiarano “finalmente!”, sì è di destra ma è una donna ed è nuova, ma quale postfascista, potrà fare tutto ciò che “noi di sinistra” non abbiamo mai neanche immaginato di poter fare… Il guaio è che la narrazione è la misura esatta delle aspettative. E le aspettative sono l’altra faccia delle preoccupazioni, quelle vere. Quelle che attengono alla realtà che tutti conoscono: reggerà al governo, e con una guerra in corso, una coalizione guidata da un’atlantista che è un’euroscettica di profilo orbaniano, avendo a fianco due personalità che son state diversamente ammiccanti a Putin?

Reggerà l’Italia a guida Meloni la sfida di ottenere e impiegare tutti i fondi europei Recovery? Avrà il governo delle destre autorevolezza bastevole a orientare le politiche europee - a cominciare da quelle energetiche - o diventeremo una sorta di Polonia, un Paese superalleato degli Stati Uniti ma che guarda in cagnesco a Bruxelles? E l’Italia procederà sulla via dell’ampliamento dei diritti riconosciuti ai suoi cittadini, o ci sarà una clamorosa retromarcia?

Lo storytelling mediatico poi, quel dipingerci tutti come davanti a un presepe in attesa dell’Avvento, serve anche a un altro scopo: indicare la via alla “premier in pectore”. Sapendo benissimo qual è la realtà: che non è Draghi il consigliere principe di Meloni - come Palazzo Chigi nei giorni scorsi ha fatto sapere, spiegando ai cronisti che avevano ripetuto a papera quella “indiscrezione” che il presidente del Consiglio sta solo svolgendo una corretta transizione, informando chi ha vinto le elezioni di quel che è in corso d’opera, e che di certo non ha rassicurato nessun leader europeo circa lo spessore democratico dei suoi (eventuali) successori. E che si potrà capire dove andrà a parare l’esecutivo di destra solo quando il governo sarà all’opera, e certo qualcosa anche prima non appena sarà nota la composizione del governo. Cosa sulla quale, notoriamente, esercita un potere costituzionale preciso il presidente della Repubblica, anche al di là dei desiderata e delle mediazioni cui lavorano affannosamente in questi giorni Meloni, Salvini e Berlusconi.

Nel limbo in cui siamo, forse l’unica a non credere allo storytelling potrebbe essere proprio Giorgia Meloni: «Leggo sui giornali cose pazzesche», ha detto ieri entrando a Montecitorio per l’ennesimo di giro di quasi consultazioni da premier non incaricato.

Le Camere si insedieranno tra il 13 e il 15 ottobre, poi bisogna eleggerne i presidenti, e anche quelli dei gruppi parlamentari. Solo dopo questa fase il Quirinale potrà aprire le consultazioni, e conferire l’incarico. E se, per pura vaghissima ipotesi, nel segreto dello studio quirinalizio accadesse che Salvini e Berlusconi non facessero a Mattarella il nome di Meloni come presidente del Consiglio? Altro che presepe, altro che premier in pectore: si finirebbe dritti dritti in quella specie di Natale in casa Cupiello che fu la formazione del governo nel 2018.