«C’è un approccio punitivo in alcune parti della riforma del processo civile che non credo sia condivisibile dal punto di vista del diritto di difesa, ma soprattutto non credo sia utile dal punto di vista dell’efficienza». A dirlo è Antonio de Notaristefani, presidente dell’Unione nazionale delle Camere civili, che lancia un appello alla politica: «Per migliorare la qualità della giurisdizione ascoltate la nostra voce».

Il governo ha recentemente approvato i decreti delegati della riforma del processo civile. Quali sono le criticità maggiori?

È importante che per la prima volta si investa del denaro nella giustizia, perché significa aver capito che la giustizia non è una spesa, ma un investimento. Ma gli aspetti negativi incidono in maniera pesante sul diritto alla difesa e ciò senza che ve ne sia la ragione. Capisco, ad esempio, che le sanzioni sono un deterrente psicologico, ma il rischio è che si finisca a battagliare su questioni di carattere formale, un dispendio di attività giurisdizionale che non ci possiamo permettere. La giurisprudenza più volte ha detto che la giurisdizione non è una risorsa illimitata e quindi non deve essere sprecata. E non è ragionevole prevedere requisiti formali - come chiarezza e sinteticità che sono quanto di più opinabile esista.

Cosa incide sulla lentezza dei processi?

Ci sono due milioni di processi pendenti e poche migliaia di giudici. Le forze umane hanno dei limiti. Quando ero nel gruppo di lavoro per la riforma del giudizio di Cassazione, uno dei magistrati che ne faceva parte ci spiegò che per evitare di accumulare arretrato era costretto a scrivere una sentenza al giorno. Ma come si può fare una sentenza al giorno, tutti i giorni, e avere il tempo per riflettere?

L’ufficio del processo dà una mano al lavoro degli uffici. Non si è investito sulle assunzioni?

Sono previste, ma dal momento in cui si prevede di farle al momento in cui poi quei giudici mettono la toga passano diversi anni. Ipotizzare che possano essere utilizzati per far fronte ad un’emergenza non è realistico. Oltretutto, quando si bandiscono i concorsi in magistratura non si riesce nemmeno a coprire i posti ordinari. La verità è che si scontano errori del passato, ma un piano straordinario, coinvolgendo l’avvocatura nella possibilità di decidere le cause - la Costituzione prevede ad esempio che gli avvocati possano entrare a far parte dei ranghi della Corte di Cassazione - forse sarebbe stato utile. E comunque non è certamente riformando il rito che si producono risultati straordinari. Anzi, ciò rallenta i processi, perché ci sono le inevitabili crisi di adattamento. Proprio perché per la prima volta vengono stanziate risorse significative, sarebbe veramente un peccato se finissero sprecate e ci si perdesse in una marea di controversie.

L’obiettivo di ridurre del 40% la lunghezza dei processi, dunque, rischia di non essere raggiunto?

Sì il rischio è reale. Un sistema complesso come quello della giustizia non può basarsi sulle multe, perché altrimenti, anziché diminuire, il carico dei processi aumenterebbe a causa dei ricorsi.

Cosa chiederete al nuovo governo?

In primo luogo di eliminare queste inutili sanzioni, che sono controproducenti e ingiuste. Poi di ripensare la disciplina del processo di primo grado: andrebbe benissimo adottare la soluzione contraddistinta dalla lettera A e proposta dalla Commissione Luiso. Il fatto che sia stata ignorata dal ministero che ha istituito la Commissione stessa è anomalo. Terzo, chiederemo di eliminare questo continuo riferimento ai concetti di chiarezza e sinteticità, per altro formulati in maniera ambigua, per cui è possibile che si comincino a fare cause per capire se l’atto era scritto in maniera chiara oppure no. Quarto, estendere gli incentivi fiscali a tutte le adr e non riservarli soltanto alla mediazione. Basterebbe questo per rendere la riforma accettabile e anche utile. Allo stato attuale, invece, è meno equa e non efficiente.

Si rischia di perdere i fondi del Pnrr?

Ridurre i tempi dei processi del 40% e l'arretrato del 90% sono obiettivi difficilmente raggiungibili. Non so se sia possibile negoziare dei differimenti e dei rinvii, però certamente il collegamento con fondi del Pnrr prevede degli obiettivi e quindi, nei limiti del possibile, è necessario fare di tutto per raggiungerli. Una riforma condivisa funziona meglio rispetto ad una riforma imposta. E dal momento che rispetto a questi quattro punti c’è una convergenza di opinioni molto ampia e non solo da parte dell’avvocatura, sarebbe davvero un peccato non tenerne conto.

Ci sono molti provvedimenti importanti rimasti in sospeso, come quello sull’equo compenso. Si aspetta un dialogo proficuo del prossimo governo con l’avvocatura?

Credo e spero di sì: qualunque sarà la composizione del prossimo governo, è evidente che avrà una chiara origine politica. La politica è fatta di confronto e anche di consenso e l’ascolto che chiediamo non è un’esigenza corporativa, ma un interesse pubblico. A volte si pensa che norme come l’equo compenso servano per consentire agli avvocati di guadagnare di più. È un'impostazione totalmente sbagliata. Lo svilimento dei compensi abbassa il livello professionale. La norma non serve, dunque, tanto agli avvocati, quanto ai cittadini italiani per avere degli avvocati di qualità. Ecco perché è sempre un peccato quando queste riforme naufragano in maniera inspiegabile. Speriamo che col prossimo governo si recuperi quel che sembrava essere andato sprecato. Non solo per noi, ma per la qualità della giurisdizione.