Il senso dei commenti di Mario Draghi e Giorgia Meloni alla notizia dei 200 miliardi messi in campo contro il caro Energia non è simile. È identico. Nulla di sorprendente dato che i due si erano sentiti prima di esternare e che la reazione di un premier uscente e di una in arrivo non poteva che essere affine. Ma certo fa una certa impressione sentire la leader sovranista scagliarsi contro gli egoismi, invocare la solidarietà europea, affermare che nessuno può farcela da solo. Ci manca solo una tonante denuncia esplicita dei guasti indotti dal sovranismo e il giro è completo.

Molte delle dichiarazioni antiputiniane, iperatlantiste e quasi europeiste di Giorgia Meloni si spiegano, almeno in parte, con la necessità di ripulirsi la reputazioni agli occhi di alleati e partner prima di insediarsi a palazzo Chigi. In questo caso non è così. Qui a spingere non il calcolo delle opportunità ma la realtà, con mano particolarmente pesante. La mossa tedesca è un ceffone e una cocente delusione per i 15 Paesi, tra cui Italia e Francia, che insistono per il tetto europeo al prezzo del gas, cioè per una reazione unitaria e solidale, identica nello spirito se non nelle forme concrete d'intervento a quella che ha permesso di uscire in piedi dalla crisi Covid. La scelta della Germania va nella direzione opposta. Ognun per sé e chi ha le casse vuote peggio per lui. Non è detta l'ultima parola. Tra il Consiglio sull'energia di ieri e la vera e propria riunione del Consiglio europeo del 21 e 22 ottobre è possibile che qualcosa cambi. Ma il segnale lanciato da Berlino, e l'acquiescenza subito dimostrata da Bruxelles, resta inequivocabile e non promette nulla di buono.

Perché l'Italia primeggia nella schiera di quelli che hanno le casse vuote. Al momento il futuro governo potrà mettere in campo, a fronte dell'intervento- monstre tedesco, 9,5 miliardi ereditati dall'esecutivo uscente. Ci scapperà qualcos'altro. Le entrate della tassa sugli extraprofitti sull'energia, qualche sapiente spostamento di spesa. In qualche modo a dicembre contro “le bollette” una cifra simile a quelle dei decreti di Draghi, tra i 18 e i 20 miliardi, ci scapperà. Non basterà agli italiani e probabilmente neppure alla Lega. Già i dl Draghi, che in un anno hanno portato all'esborso di 66 miliardi, erano appena sufficienti per superare il trimestre. Ma senza quel rincaro delle bollette del 59 per cento che renderà tutto, proprio tutto, molto più difficile. Senza dimenticare che l'anno prossimo gli interventi di Draghi andranno rifinanziati, e ci vorrà un'altra quarantina di miliardi. Per Salvini, che ha sempre definito le misure di Draghi insufficienti reclamando lo scostamento di bilancio, accontentarsi non sarà facile.

In mezzo ci sarà, o dovrebbe esserci, la manovra, per la quale il piatto piange. La rivalutazione delle pensioni con l'inflazione e la revisione della previsioni di crescita, dal 2,4 per cento allo 0,6, e del deficit, dal 3,9 al 5, sottraggono una trentina e passa di miliardi alla disponibilità che è molto lontana dai 40 miliardi che saranno necessari nella migliore delle ipotesi. Nella sede di FdI si starebbe addirittura considerando l'idea di limitare la legge di bilancio ai saldi, rinviando spese e interventi all'inizio del 2023, con l'idea di rivedere alla luce del nuovo quadro il Pnrr. Il che però non è affatto semplice, perché è necessaria la disponibilità sia dell'Europa che, di fatto, dei diversi Paesi europei.

È questa realtà, anche più delle considerazioni tattiche, che stringe d'assedio il sovranismo della leader tricolore e la spinge verso posizioni vicine a quelle di Draghi in nome della comune fede nel pragmatismo. Quell'approccio però non è e non può essere quello della Lega che per esistere deve mantenere, almeno a parole, una posizione fortemente critica nei confronti dell'establishment anche europeo e insistere perché l'Italia, in assenza di solidarismo europeo, trasgredisca anche alle regole europee, posticipando l'impegno ad abbassare da subito l'elevatissimo debito pubblico. Insomma, nella dialettica, se non nello scontro, interno alla maggioranza Giorgia Meloni è destinata e forse condannata a rivestire i panni dell'antisovranismo: sia quando critica l'Europa colpevole proprio di quel peccato, sia quando, per evitare di entrare in conflitto con la stessa Ue e con la Bce, insiste per non violare gli impegni assunti con Bruxelles.