Calci e pugni, manganellate, isolamenti in celle vuote, detenuti costretti a dormire nudi dopo i pestaggi e referti medici falsificati. Sono accuse pesantissime quelle che la procura generale di Torino muove a 25 fra agenti di polizia penitenziaria e personale della casa circondariale di Ivrea - chi ancora in servizio, chi trasferito in altra sede - per fatti commessi fra 2015 e 2016 e che ora devono rispondere a vario titolo di lesioni aggravate in concorso e falso ideologico in atto pubblico. Il procuratore Giovanni Saluzzo ha avocato una serie di fascicoli aperti a Ivrea per i quali i pm locali, guidati all’epoca dal procuratore Giuseppe Ferrando, avevano chiesto l’archiviazione per «assenza di riscontri», spiega a LaPresse l’avvocato Michele Celere Spaziante che difende 8 agenti penitenziari. «Allo stato attuale delle indagini - dichiara - nego ogni addebito per gli agenti che assisto». «Le indagini di Ivrea appaiono sotto vari profili carenti», si legge nei decreti di avocazione emessi a Torino. L’associazione Antigone da cui sono nati alcuni degli esposti parla, per bocca della propria legale, Simona Filippi, di indagini «dopo anni di disinteresse» e di «sostanziale immobilismo» della Procura di Ivrea. Per il presidente della onlus che si occupa di garanzie nel sistema penale, Patrizio Gonnella, si tratta di fatti che «si riferiscono pienamente alla fattispecie di tortura», reato non ancora presente nel codice penale italiano. Ora i sostituti procuratori torinesi Giancarlo Avenati Bassi e Carlo Maria Pellicano avranno il compito di dipanare la massa di gravi accuse e angherie denunciate da almeno 7 detenuti, incrociando date, testimonianze, orari, documenti e referti. Le accuse sono nate in particolare dal lavoro di raccolta del Garante comunale per i detenuti di Ivrea e il Garante nazionale, Mauro Palma. Che nel 2016 ha anche stilato un Rapporto ispettivo sul carcere piemontese dove si parla di una «sala accanto all’infermeria, cosiddetta "Acquario". Soprannome nato per via di un vetro oscurato tranne che per una striscia di 15 centimetri da cui è possibile guardare dall’esterno ciò che accade all’interno, utilizzata come «cella di contenimento di natura afflittiva» violando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tra le accuse più brutali c’è quella rivolta a un medico del penitenziario in servizio il 7 novembre 2015 che avrebbe assistito al pestaggio del detenuto Ahmed Alì da parte di 4 agenti di polizia penitenziaria mentre altri 2 lo tenevano fermo, il tutto sorseggiando una bevanda accanto alle macchinette per poi refertare lui le ferite sul corpo dello straniero. Un’altra delle ipotesi di reato riguarda 4 agenti che avrebbero lasciato un detenuto «tutta la notte» in una cella vuota «privo di indumenti» dopo aver subito un pestaggio da agenti che lo avrebbero «colpito con il manganello e con calci, pugni e schiaffi sul viso, sulla bocca, sul costato e su tutto il corpo».