Mentre tutti i riflettori sono puntati alle elezioni politiche, tra una strumentalizzazione del tema penitenziario (chi parla ancora della “certezza della pena” e chi desidera riempire le carceri di colletti bianchi pensando così di risolvere il problema), i detenuti continuano a impiccarsi nell’indifferenza più totale. Mercoledì notte, al carcere di Verona, si è suicidato Maurizio Bertani, che scrisse un articolo nel 2007 per Ristretti Orizzonti proprio sulle morti in carcere. Aveva 71 anni.

Quello di Verona è il 63esimo suicidio in carcere da gennaio

Siamo così giunti al 63esimo suicidio dall’inizio dell’anno. La penultima tragedia si è verificata qualche giorno prima al carcere di Forlì. Si tratta di Denis Markola, albanese di 28 anni che si è suicidato appena entrato in carcere per un ordine di esecuzione dopo otto anni dalla sentenza. Il numero dei suicidi potrebbe essere addirittura maggiore visto che, come ha recentemente rilevato il garante nazionale, sono da accertare le cause della morte di almeno una decina di detenuti.

In quel carcere si suicidò Donatella che scrisse una lettera struggente al compagno

Alla notizia dell’ennesimo suicidio nel carcere di Verona (ricordiamo qualche tempo prima Donatella, la ragazza che si è ammazzata dopo aver lasciato una struggente lettera al proprio compagno), l’associazione veronese “La Fraternità” si è riunita come Direttivo ed è stata inviata lettera alla Direttrice del carcere e ai suoi collaboratori.

La lettera dell’associazione veronese “La Fraternità”  alla Direttrice del carcere e ai suoi collaboratori

«È triste – scrive Giuseppe Galifi, presidente dell’associazione -, dopo così breve tempo, tornare ad esprimere la nostra vicinanza e la nostra solidarietà dinanzi a un ulteriore caso di suicidio. Lo facciamo tuttavia con piena convinzione e con profonda commozione, nella consapevolezza che questo reiterarsi accresce il bisogno di creare tutte le sinergie possibili fra coloro che, istituzionalmente o volontariamente, lavorano a contatto con i detenuti e le detenute». E infine conclude: «Confermiamo a Lei e ai suoi collaboratori la nostra piena disponibilità ad affiancarci alla vostra opera rappresentando, pur nei nostri limiti, la prossimità della nostra umanità a chi vive in stato di detenzione».

Nessuna regia mafiosa dietro le rivolte di due anni fa

Ma cosa sta accadendo? Ogni suicidio è a sé, ma il numero crescente fa comprendere che il sistema penitenziario è diventato insostenibile. Due anni fa ci sono state le rivolte dovute dall'esasperazione, ma a causa del solito conformismo mass mediatico, si è portato a far credere che dietro ci fosse stata una regia mafiosa che avrebbe poi portato alla resa dello Stato. Una riedizione della trattativa Stato-mafia.

La relazione della commissione del Dap sulle rivolte ha chiarito tutto

Chi conosce a fondo le problematiche del sistema penitenziario, da Il Dubbio passando per le associazioni come Antigone o Yairaiha Onlus, gli attivisti radicali come Rita Bernardini reduce da un lungo sciopero della fame e i garanti, sa che si trattava di una tesi delirante. A mettere parola fine a questa teoria sconclusionata, recentemente ci ha pensato la relazione della commissione istituita dal Dap e presidiata dall’ex magistrato antimafia Sergio Lari.

Nonostante la sensibilità della ministra Cartabia non è stato fatto nulla per il sistema penitenziario

Si trattava, come di consueto, del solito complottismo funzionale allo stato di polizia: nascondere sotto il tappeto i veri problemi, decisamente più complessi, e reprimere una ipotetica regia occulta che muove le fila. Dopodiché ai detenuti non gli è rimasto che optare per la battaglia non violenta attraverso lo sciopero della fame. Ma non è servito a nulla. Nonostante l’indiscutibile sensibilità e buona volontà della ministra Marta Cartabia, di fatto, non è stato attuato nulla di concreto. Anche perché, nel frattempo, il governo è stato fatto cadere su iniziativa del Movimento Cinque Stelle.

Il Parlamento ostaggio del populismo penale e giudiziario

Guai a cedere, guai a riformare il sistema penitenziario. Sorvegliare e punire, la parola d'ordine che in qualche modo attraversa tutto il Parlamento ostaggio del populismo penale e giudiziario. Allora cosa è rimasto da fare ai detenuti (ma anche agli agenti che vivono lo stesso malessere) per farsi sentire? Da ribadire nuovamente che ogni suicidio è a sé, ha una sua storia e vicissitudine. Però nemmeno si può fare finta di nulla e bisogna constatare che i suicidi sono aumentati a dismisura, con una inquietante media di un suicidio ogni cinque giorni. C'è una evidente escalation che non può passare inosservata. Non si può fare a meno di pensare ai regimi sovietici quando le rivolte o i dissensi non erano ammessi. Se si provava a dissentire si era tacciati di essere eterodiretti dalle entità straniere. Ai dissenzienti non gli rimaneva che il suicidio. Così avvenne e così, con i dovuti distinguo, sta avvenendo nelle patrie galere.