Manca poco al voto e ancora non si parla del futuro di una delle riforme istituzionali più importanti iniziate in questa legislatura, cioè quella dell’ordinamento giudiziario. La legge n.71/2022, approvata dal Parlamento a giugno, contiene una delega al Governo, da attuare entro un anno, per la revisione dell’assetto della magistratura, i cui principi fondamentali sono: - rimodulare i criteri degli incarichi direttivi e semidirettivi  “secondo principi di trasparenza e di valorizzazione del merito”; - razionalizzare il funzionamento dei consigli giudiziari, assicurando “la semplificazione, la trasparenza e il rigore nelle valutazioni di professionalità”; - riordinare la disciplina del collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili. La delega è figlia di un compromesso politico e demanda al Governo – a questo punto, il prossimo - la delicata attività di attuazione normativa. Ma non bisogna accontentarsi; la legge 71 non va solo efficacemente attuata, ma deve essere anche rinforzata, in alcuni punti nodali, se vogliamo che nasca un sistema giudiziario realmente ispirato agli ideali liberaldemocratici di giustizia. Abbiamo troppi magistrati che rivestono ruoli amministrativi – anche di Governo - e legislativi di primaria importanza, sottraendo risorse importanti a una giurisdizione sistematicamente in sofferenza per i carichi di lavoro, che impediscono troppo spesso la ragionevole durata del processo, e un correntismo degenerato nella caccia al potere che svilisce l’alta funzione della magistratura, penalizzando i magistrati più indipendenti. Per non parlare dell’eccesso di corporativismo, agevolato anche dall’autoreferenzialità nei giudizi di professionalità. Si è parlato molto, in campagna elettorale, della separazione delle carriere tra giudici e PM; ciò non mi può che fare felice, visto che sono d’accordo. La proposta non sembra più essere solo una chimera, visto che è sostenuta da un ampio catalogo di partiti, con l’esclusione praticamente solo del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle. Ma una delle riforme più importanti consiste nella riduzione del numero dei magistrati distaccati in incarichi extragiudiziari; è anche una delle più difficili da realizzare, a causa dell’ostilità che quasi sicuramente troverà nel consolidato apparato burocratico che va a toccare. La legge 71 ha previsto delle norme immediatamente precettive che disincentivano il ritorno nel ruolo dei magistrati distaccati; ma la parte più importante – cioè quella che disciplina il distacco – è contenuta in una delega che, tra le altre cose, lascia al Governo anche il compito di individuare il numero massimo dei magistrati fuori ruolo. La delega approvata dal Parlamento prevede che l’Esecutivo debba tenere conto “delle possibili situazioni di conflitto di interessi tra le funzioni esercitate nell’ambito di esso e quelle esercitate presso l’amministrazione di appartenenza”. L’obiettivo deve essere più ambizioso: arrivare a un divieto generalizzato di incarichi extragiudiziari, comunque denominati, nel rispetto del principio che impone alla pubblica amministrazione di attingere a magistrati solo in casi straordinari e specifici. Le “porte girevoli” che devono preoccupare non sono solo quelle tra magistratura e politica; quelle tra magistratura e pubblica amministrazione sono ancora più pericolose per lo Stato di diritto. Basta ricordare che il magistrato che abbandona la funzione giudiziaria per assumere un incarico ministeriale (pensiamo ai capi di gabinetto), si mette al servizio della politica ancor più del magistrato eletto in una competizione elettorale. E quando torna ad indossare la toga, la sua indipendenza rischia di essere andata perduta per sempre, soprattutto quando giudica l’amministrazione cui ha appartenuto mentre era distaccato. Negli ultimi giorni di campagna elettorale, vorrei che un impegno formale in questa direzione lo prendessero a chiare lettere le forze politiche che si candidano a governare il Paese. (*Presidente ItaliaStatodiDiritto)