La Corte costituzionale, oltre ad avere cambiato sei presidenti negli ultimi quattro anni (l’ultima arrivata due giorni fa è Silvana Sciarra), è stata investita anche da altre trasformazioni, a partire dalla comunicazione esterna ed interna. Quindi non solo i Viaggi nelle scuole e in carcere o i comunicati stampa in inglese, ma altresì un mutamento del dialogo “anche serrato” tra giudici costituzionali e avvocati. Proprio quest’ultimi - ci siamo chiesti in questo articolo - cosa si aspettano per il futuro dalla Consulta? Abbiamo posto la domanda agli avvocati Vittorio Manes e Michele Passione, entrambi assidui frequentatori della “Fabbrica della Sagra Consulta”.

Il primo, protagonista di importanti decisioni della Corte costituzionale - tra le altre, la nota “saga Taricco”, il caso Dj Fabo, l’ergastolo ostativo e permessi premio, applicazione retroattiva della “spazzacorrotti', da ultimo la decisione sul ne bis in idem –, ci dice: «Credo che quello che si aspettano gli avvocati è un giudice delle leggi sempre ostinatamente intollerante nei confronti delle violazioni dei diritti fondamentali e sempre coraggioso nell’affermazione dei principi costituzionali al più alto livello di tutela. Questi valori mai devono soccombere nel bilanciamento con altri interessi che non siano assiologicamente omogenei e che non abbiano lo stesso peso, come quelli votati all’efficienza del processo o all’effettività del sistema penale».

Da questo punto di vista, secondo Manes, «negli ultimi anni, da parte della Corte costituzionale vi sono state sentenze molto innovative, in particolare sul fronte del diritto penale sostanziale. Penso alle decisioni sul fine- vita, sulla proporzionalità della pena e sulle cosiddette pene fisse, sulle garanzie da riconoscere alle cosiddette pene nascoste, ivi comprese le norme dell’esecuzione penale con contenuti afflittivo- punitivi, sulla tassatività e il divieto di analogia, sino a quella più recente sul ne bis in idem». Per l’Ordinario di diritto penale all'Università di Bologna, «una medesima attenzione dovrebbe essere posta sul processo penale, perché spesso è proprio lì che si annidano delle pericolose zone franche che nascondono possibili torsioni dei diritti fondamentali».

La sottoposizione al procedimento penale – ci spiega Manes - «non implica solo una gravissima ingerenza nel diritto alla libertà personale ma porta con sé anche conseguenze su tutta la corona dei diritti fondamentali - onore, reputazione, vita familiare e lavorativa, eccetera -. Riguardo a questo, devo dire che la sentenza recente 205/ 2022, di cui è stata redattrice la giudice Emanuela Navarretta (“Incostituzionale la disciplina sulla responsabilità dei magistrati pre-riforma del 2015: vanno risarciti i danni non patrimoniali da lesione di tutti i diritti inviolabili”, ndr), è stata molto apprezzabile perché vi si prende atto che subire un processo ingiusto – anche quando non si è subita la privazione della libertà personale – implica sempre un sacrificio spesso irrimediabile dei diritti personali la cui lesione deve essere risarcita, come appunto ha affermato la Corte».

In ultimo, conclude Manes, «credo che gli avvocati si aspettino una analoga vigile attenzione e severi interventi nei confronti di ogni violazione che possa essere riconnessa ad un abuso del processo penale e dei mezzi investigativi. Penso al delicatissimo equilibrio che oggi andrebbe ripristinato sul tema delle intercettazioni telefoniche e delle nuove tecnologie di captazione, come i trojan. La loro ingerenza nella sfera della vita privata e familiare non può essere sistematicamente giustificata per presunte esigenze di accertamento di reati; il loro uso dovrebbe essere limitato in base a presupposti molto tassativi e significativi, e circoscritto da un criterio davvero di extrema ratio».

Un altro punto di vista ce lo offre appunto l’avvocato Michele Passione, già componente del Tavolo XIII degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, della Commissione ministeriale Pelissero ed ora di quella Ceretti in materia di Giustizia riparativa. Anch’egli ha più volte discusso in Corte costituzionale, in particolare in difesa dei diritti dei detenuti (sent. 253/ 2019, in materia di permessi premio per gli ergastolani ostativi; a breve discuterà sulla conformità costituzionale della libertà vigilata applicata ad ergastolano in liberazione condizionale).

L’ultima sentenza a favore di un suo assistito è quella che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47- quinquies dell’op. «Ho apprezzato molto le nuove regole sullo svolgimento delle udienze davanti alla Consulta, secondo le quali la trattazione delle cause sarà segnata dal dialogo anche vivace fra giudici costituzionali e avvocati. A questa iniziativa si potrebbe aggiungere la pubblicazione della dissenting opinion. Nel momento in cui la Corte riduce il self- restraint a cui ci aveva abituati, abbandona il metro delle “rime obbligate”, intraprende il Viaggio nelle Scuole e nelle Carceri e utilizza i podcast, sarebbe un ulteriore segno di apertura all’esterno dare conto anche dei pensieri difformi all’interno della Camera di Consiglio. Questo non metterebbe a rischio la solidità della Corte e fornirebbe un ulteriore contributo per l’evoluzione giurisprudenziale, così come accade nella Corte Edu. Del resto, non sempre si può avere una visione unanime, come dimostra la recente votazione 8 a 7 per la neo Presidente o, proprio in materia di ergastolo ostativo, la decisione presa a stretta maggioranza, per quanto pubblicato in proposito nei giorni successivi su un quotidiano».

Su un possibile limite che la Corte dovrebbe porre ai rinvii da concedere al legislatore, in particolare in tema di fine pena mai, l’avvocato ci dice: «Innanzitutto il primo pensiero va a chi, da detenuto, resta in attesa ogni volta che c’è un rinvio. In secondo luogo la Corte ha davanti a sé un Parlamento che ha fatto cadere nel vuoto recentemente i moniti non solo sull’ergastolo ostativo ma anche sul fine vita e per quanto riguarda le pene detentive per i giornalisti. Ma andando indietro nel tempo, ricordo la sentenza 279/ 2013: un altro monito inascoltato perché i giudici costituzionali, pur dichiarando inammissibili le questioni sollevate dai Tribunali di sorveglianza di Venezia e di Milano, avevano comunque invocato una valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per porre un freno al sovraffollamento. Ma oggi siamo sempre lì, ossia con carceri overcrowded e a tal proposito credo sia tornato il momento di tornare a ribussare alla Consulta in tema di detenzione domiciliare da concedersi quando c’è sovraffollamento carcerario».

In pratica, per Passione «la Corte dovrebbe sapere bene a chi rivolge i moniti, valutare attentamente l’effetto che hanno, guardare scrupolosamente cosa fa il Parlamento per seguire le indicazioni date. Se il legislatore si sta muovendo nella direzione opposta, e pure con estremo ritardo, non resta che dichiarare definitivamente l’incostituzionalità della norma. Credo che Godot non giovi alla stessa Corte, che non può restare ostaggio dell’inerzia parlamentare».