Con la «mobilitazione militare parziale», annunciata ieri in un discorso trasmesso dalle televisioni di tutto il mondo, Vladimir Putin ha alzato il livello della tensione non solo sul teatro di guerra, ma a livello internazionale. Le sue parole rimbombano a New York in occasione dei lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Oltre a mobilitare circa 300mila riservisti, il presidente russo ha detto che «abbiamo molte armi per replicare» al ricatto nucleare dell’Occidente. Questa volta, secondo Giorgio Cella, analista di politica internazionale e autore del libro “Storia e geopolitica della crisi ucraina” ( Carocci), il «tintinnio nucleare di Putin non è da sottovalutare».

Quanto vuole alzare Putin il livello dello scontro?

Dopo le controffensive ucraine, che hanno sorpreso di nuovo il mondo, abbiamo assistito ad uno smascheramento delle reali ed effettive forze armate russe. Questa situazione ha portato Putin quasi con la schiena al muro. Il presidente russo è un po’ nell’angolo e la rabbia popolare sta crescendo. Lo dimostra il fluire enorme di russi. Chi può lascia il paese per raggiungere Istanbul, Tbilisi o Yerevan. Per quanto riguarda la “mobilitazione militare” evocata da Putin, è bene rilevare che si tratta di una cosa tutt’altro che facile da realizzare. La guerra non è molto sentita. Il training militare richiede mesi. Quanto sta accadendo e quanto sta annunciando Putin indicano le difficoltà in cui si trova la Russia. Si sta andando, comunque, verso una situazione di estrema gravità alla quale si aggiunge il tintinnio dell’arma nucleare.

Le dichiarazioni di Putin inducono a pensare che si potrebbe andare oltre la minaccia nucleare?

Il modo di fare di Putin rientra nella dottrina militare russa. Per la precisione una dottrina nucleare militare che prevede l’uso dell’atomica in caso di attentato alla sovranità nazionale. Il trucchetto che sta dietro il referendum indetto nelle autoproclamate repubbliche è quello di rendere russi alcuni territori che non lo erano ed estendere la sovranità russa a territori ucraini contesi. Un modo per lanciare chiari avvertimenti in merito all’utilizzo dell’arma nucleare, nel caso di azioni militari subite dai territori pretesi dalla Russia.

I referendum indetti nelle autoproclamate repubbliche di Donetsk, Luhansk, Kerson e Zaporizhzhia sono una sorta di “artifizio diabolico” per far fare alla Russia la parte della vittima e mantenere alto il livello della tensione?

Si è venuta a creare una situazione che deriva dalla sconfitta politica e militare delle ultime settimane. L’esercito russo si è ritirato da alcuni territori oggetto della controffensiva ucraina. I referendum fanno parte di una controversa struttura di politica estera. Non è affatto una sorpresa per chi studia la Russia. Anche ai tempi della guerra russo- georgiana si crearono due entità federali con, possiamo dire così, il solito trucchetto. Dove ci sono i russofoni e i russofili, l’impero può estendersi militarmente con la creazione di linee rosse off limits.

Le armi atomiche verranno prima o poi usate nella guerra in Ucraina?

Nella dottrina militare russa è contemplato l’utilizzo delle armi atomiche in caso di attentato alla sovranità russa in territorio russo. Putin ha fatto ricorso alla minaccia, considerato che militarmente sul campo le cose non stanno andando come previsto. Quella nucleare è la più grande minaccia che possa esistere. Un ricatto globale dovuto alla riconquista dei territori da parte dell’esercito ucraino. Si sta andando oltre i trucchetti e gli inganni psicologici. Qualcosa di potenzialmente verificabile.

Il ministro della difesa russo, Sergei Shoigu, ha affermato che la Russia «non sta combattendo contro l’Ucraina, ma contro l’Occidente». È la definitiva dimostrazione della divisione del mondo, di nuovo, in blocchi contrapposti?

Stiamo assistendo alla fine delle relazioni tra Occidente e Russia. La narrativa ormai è cambiata e si afferma che non sono più gli ucraini i nemici, ma l’intero Occidente. Oltre alle frasi ad effetto, ci sono i fatti. In questa fase il cambio della narrativa ha portato pure a superare le attività di denazificazione dei primi mesi del conflitto. Non dimentichiamo in questo contesto le dinamiche interne alla Russia e a tutto quello che può succedere direttamente in casa di Putin. Qualche linea di forte incertezza inizia ad esserci anche lì.

Nei giorni scorsi Zelensky ha chiesto agli Stati Uniti armi sempre più potenti. Le sue richieste potrebbero essere soddisfatte? È un approccio che non fa intravedere nessuno scenario diverso dalla guerra?

La “dottrina Austin”, dal nome del segretario della Difesa degli Stati Uniti, ma potremmo definirla anche “dottrina Biden”, è quella di logorare l’esercito russo, difendendo legittimamente uno Stato sovrano aggredito. L’obiettivo è impantanare l’esercito russo. Una traiettoria dell’Occidente va nella direzione tracciata dagli Stati Uniti. Biden, fino a questo momento, con una certa moderazione, non vuole mandare agli ucraini i lanciamissili più potenti. Gli ucraini, dal canto loro, sono galvanizzati dalle vittorie militari sul campo. I russi, che hanno nel loro dna l’orgoglio e la gloria, dubito che arretrino. Stiamo assistendo a visioni molto diverse. L’Europa, invece, latita. Giungere ad una trattiva è più dura di prima, visto che c’è addirittura il tintinnio nucleare.