Tribunale di Roma, giudice monocratico, processo per maltrattamenti in famiglia e lesioni. La difesa dell’imputato ha una sola teste in lista: una donna incinta alla 23esima settimana di gravidanza, che però accusa «algie pelviche, perdite ematiche e contrazioni». Una situazione precaria, sulla quale la difesa pone l’attenzione, chiedendo un rinvio ad ottobre per evitare ulteriori complicazioni alla donna. Ma il giudice, con un semplice calcolo numerico basato sul certificato medico presentato in udienza, decide di convocare la donna in piena estate, il 22 luglio, alle 10.30. A raccontarlo, su Terzultima fermata, è l’avvocato Riccardo Radi, che condivide il blog sui temi della giustizia assieme al collega Vincenzo Giglio. Ed è proprio Radi il difensore dell’imputato di questo processo, nel quale «non c’è stata attenzione nei confronti delle condizioni della donna, ma anche nei confronti del diritto di difesa e del ruolo che svolgiamo in aula», racconta al Dubbio. L’udienza in cui tutto è avvenuto è quella del 3 giugno. Una volta ascoltati i testi citati dal pm, al momento del rinvio, Radi riferisce al giudice che la teste è impossibilitata a comparire, depositando il certificato medico che le prescrive opportune terapie e riposo assoluto per 24 giorni. Da qui il rinvio al 22 luglio, al quale l’avvocato tenta di opporsi: «Giudice ma la teste è in stato interessante con una situazione di salute precaria - obietta -. Il procedimento non è a rischio di prescrizione e questo rinvio a luglio non tiene conto delle condizioni di oggettiva difficoltà della teste che a luglio certamente non saranno risolte». Ma nulla da fare: «Il giudice - si legge ancora sul blog - risponde algidamente: “Avvocato oggi è il 3 giugno, il medico ha prescritto 24 giorni. Quindi per il 22 luglio non ci sono problemi”». Una situazione «eclatante», commenta oggi Radi. «Il giudice ha fatto un mero calcolo matematico - spiega -, ritenendo che il rinvio al 22 luglio fosse sufficiente per garantire alla teste di partecipare, non tenendo conto del possibile impatto delle temperature estive sulle sue condizioni. A quel punto ho provato anche a fare un’osservazione sul fatto che il processo non rischiava la prescrizione, ma non è servito. Ovviamente a luglio ho evitato di citare nuovamente la testimone, le cui condizioni, da quel che ho appreso, erano anche peggiorate». La difesa ha dunque rinunciato alla teste, la cui deposizione avrebbe potuto incidere non poco sul processo, trattandosi dell’unica testimone oculare della vicenda oggetto del processo. Che si è dunque concluso il 22 luglio, con la condanna dell’uomo. «Il giudice mi ha dato ragione su aspetti tecnici legati alla qualificazione dei fatti - spiega ancora Radi -, ma l’imputato è stato comunque condannato sulla base della riqualificazione dell’accusa. Questo processo è risultato sfortunato sin dall’inizio: come avevo già scritto in un mio intervento sul Dubbio tempo fa, a questa persona erano stati anche applicati gli arresti domiciliari senza che ci fossero i presupposti. In questo caso, da parte della difesa non c’era nessun intento dilatorio, avendo io rinunciato ad altri testi, non essendoci rischio di prescrizione e avendo anche acconsentito a sospendere i termini, se necessario. Proprio per tale motivo mi è parsa una decisione avulsa da qualsiasi tipo di logica giuridica e necessità legata al processo in sé». Una decisione, sottolinea, che non ha nemmeno a che fare con le difficoltà del Tribunale di Roma a smaltire l’arretrato. «Si può anche tentare di smaltire, ma assistiamo spesso anche a rinvii di sei-sette mesi - conclude -. La scelta dipende sempre dalla sensibilità del giudice. Non ci si può nascondere dietro alle direttive o alle circolari».