Ci sono argomenti, proposte, slogan che coincidono. Matteo Renzi ieri ha ribadito, via e- news, il concetto scandito sabato a Ischia, alla presentazione del suo libro “Il mostro”: «Noi diciamo che chiedere giustizia e non giustizialismo si può fare, e che un magistrato deve fare carriera se è bravo, non se è iscritto a una corrente». Nel fine settimana il leader di Italia viva era entrato nei dettagli, aveva definito tra l’altro la «valutazione delle carriere» di giudici e pm più importante della loro «separazione». Ma se si guarda alle dichiarazioni che, sulla magistratura, arrivano per esempio dalla Lega o da Fratelli d’Italia, non c’è tutta questa distanza. Anzi. Anche il responsabile Giustizia di Giorgia Meloni, Andrea Delmastro, è per le carriere separate, idea su cui la Lega aveva provato a scommettere col referendum. Si potrebbe insomma persino sostenere che esiste un asse omogeneo sulla giustizia, un unico filone che accorpa centrodestra, integralmente inteso, e Terzo polo. Ma in realtà non è così.

Renzi e Azione parlano una lingua diversa da Meloni e Salvini. Sono affini casomai a Forza Italia. A Silvio Berlusconi. Che non ha più proposto la giustizia come piatto forte della propria comunicazione, come fa più spesso Carlo Calenda, ma che tiene a presentare Forza Italia come l’unico partito «liberale e garantista» della coalizione. Lo ha ribadito sabato a una manifestazione con i candidati azzurri in Friuli. Secondo il Cav, lui e FI sono gli unici «continuatori e testimoni della tradizione liberale, cristiana, garantista dei valori e dei principi della civiltà occidentale». È un abito che né Meloni né Salvini possono sfoggiare con la stessa disinvoltura. Ed è vero che solo una Forza Italia resa non proprio irrilevante dall’esito del voto potrebbe controbilanciare le spinte restrittive che da FdI arrivano per esempio sul carcere, nonostante Carlo Nordio.

È chiaro insomma che esiste e potrà consolidarsi in Parlamento un asse sulla giustizia fra Terzo polo e Forza Italia. Non sarà certo un filone maggioritario e se, come dicono i sondaggi, Meloni conquisterà Palazzo Chigi, il Cav faticherà a imporsi nella coalizione. Ma in Parlamento i giochi di sponda possono consentire successi impensabili. Lo dimostra una figura chiave di Azione, cioè del Terzo polo, come Enrico Costa. Anche nell’intervista al Dubbio, il vicesegretario del partito di Calenda ha ricordato che già nella scorsa legislatura, «con appena tre deputati», la sua personale capacità di «trasformare in emendamento e norma quello che avevamo in mente», ha permesso al suo partito di ottenere «più risultati sul versante della giustizia», dalla «presunzione d’innocenza» al «fascicolo di valutazione sui magistrati», fino a «diritto all’oblio e spese legali per gli assolti». Ebbene, Costa è la prova, ma anche la garanzia per il futuro, che un asse garantista tra i moderati può incidere anche se minoritario. E che i giochi di sponda tra Forza Italia, Calenda e Renzi sono possibili, anche con un governo a guida Meloni.

Certo, i primi mesi (nella migliore delle ipotesi) della prossima legislatura saranno occupati dalle urgenze economiche, dalla lotta al caro bollette, dalla rincorsa alle riserve energetiche. Ci sarà poco spazio per parlare di giustizia. Ma non si può dare per scontato che tutto resti così per un tempo illimitato. E un’alleanza in campo penale, sul carcere, o per abolire l’abuso d’ufficio, come ha proposto ieri Francesco Paolo Sisto in un’intervista al Giornale, potrebbe diventare incisiva. E, oltretutto, costringere il Pd a fare una scelta netta.

In campagna elettorale, Enrico Letta evita di soffermarsi sulla giustizia: accusare Meloni di voler «colpire la magistratura», ad esempio, come ha fatto il leader dell’Anm Giuseppe Santalucia, in questo momento non sarebbe strategico. Rischierebbe di rappresentare FdI come una forza più riformatrice, sulla giustizia, di quanto sia nella sostanza. «Mi considero garantista nella fase del processo e giustizialista nella fase dell’esecuzione della pena», è lo slogan ribadito ieri da Meloni. Ma se la morsa della crisi economica si allentasse un po’ e consentisse, all’area trasversale dei moderati, di rilanciare davvero temi come l’abolizione della legge Severino o la decongestione delle carceri, allora i dem saranno costretti a scegliere. Dovranno dire se vogliono schierarsi per le riforme, e magari contro le resistenze della destra più securitaria, o se temono invece di scoprirsi “a sinistra”, di dare cioè troppo spazio alla controffensiva giustizialista dei 5 Stelle.

Ieri il capogruppo del Pd in commissione Giustizia al Senato, Franco Mirabelli, in un incontro in Lombardia, ha detto che «sul carcere sono in campo due idee diverse: c’è chi come Meloni lo considera l’unica risposta per ogni devianza, mentre per noi è un luogo di recupero, è l’extrema ratio». In fondo, se volesse, il Pd potrebbe fare squadra proprio con i garantisti moderati. Che altrimenti avranno gioco facile nell’isolarlo e nell’allargare il Centro anche sulla giustizia.