È una ritirata improvvisa, disordinata, in ordine sparso. Non quella delle truppe russe che per loro stessa ammissione arrancano in Donbass davanti l’offensiva dell’esercito di Kiev. Stiamo parlando delle loro quinte colonne italiche, degli opinionisti, dei professori, degli intellettuali, dei putiniani convinti e di quelli scettici, dei “pacifisti”, degli strateghi da talk show e dei pedanti furbastri di destra e di sinistra. Accomunati dall’odio verso gli yankee e dal compiaciuto disprezzo degli ucraini, liquidati come meri proxy di Washington e della Nato. Una specie di braccio armato dell’imperialismo atlantico che si serve del loro nazionalismo nazistoide, dei battaglioni Azov, del revanchismo “banderiano”, della marionetta Zelensky perringhiare ai i poveri pucciosi russi a pochi chilometri dalle loro frontiere. Fino a qualche giorno fa ci spiegavano che l’Ucraina era una causa perduta, che le truppe di Mosca stavano stravincendo la guerra, anzi, che avevano già vinto, che l’economia russa non teme le sanzioni e al contrario viaggia a gonfie vele, che la capitolazione di Kiev è inevitabile e che tutti noi avremmo dovuto prima o poi accettare la pax dello zar Vladimir Putin. Meglio prima che poi, per «evitare altre vittime inutili» come fin dall’inizio dell’invasione ci spiega l’ufficio propaganda del Cremlino, con il farisaico coro dei loro ammiratori europei a fare da contrappunto. Il discorso peraltro ha funzionato alla grande, facendo leva sulla pancia del Paese, sulle pulsioni egoiste ma comprensibili delle persone, con la minaccia dei rincari energetici, con lo spettro del razionamento del gas, dell’impennata delle bollette. Vi pare che possiamo ridurre di due gradi il riscaldamento delle nostre case e fare docce più brevi per quegli straccioni degli ucraini? La riconquista dell’oblast di Kharkiv e la ricacciata delle forze russe verso il loro confine, grazie soprattutto al massiccio utilizzo delle armi spedite dagli alleati occidentali, deve essere stata una notizia ferale per costoro. Anche perché in pochi giorni i generali del Cremlino hanno visto vanificati mesi di offensive militari nel Donetsk dove ora i rapporti di forza sono radicalmente mutati. Così l’ipocrita retorica del “non diamo le armi a Kiev perché è del tutto inutile” viene polverizzata dai fatti. Di certo c’è che da diverse ore gli “equidistanti” sono spariti dai radar dei media e dei social, immersi in un profondo silenzio come il mitico professor Alessandro Orsini che domenica ha chiuso il suo seguitissimo account Twitter, così, di botto, senza senso. Viene il sospetto che lo abbia fatto per non commentare le vittorie militari di Kiev. Ma forse sono grette maldicenze e da buon analista la sua è solo una ritirata strategicaO la filosofa Donatella Di Cesare, che dallo scorso fine settimana non interviene più sulla guerra concentrandosi su ciò che le riesce meglio: lo studio della filosofia, nella fattispecie del pensiero di Hannah Arendt. Oppure ancora Il Fatto Quotidiano che dal qualche giorno fa scivolare verso basso nella sua edizione online le notizie sul conflitto in Ucraina, coperte con neutri “pastoni” di agenzia e senza neanche un illuminato commento da parte delle sue polemiche firme. E ancora: dove sono finiti i vari Santoro, Moni Ovadia, Toni Capuozzo, Tommaso Montanari? Però finora nessun parla di “media distorti”, di “pensiero unico”, di fake news, nessuno ha provato a mettere in discussione la disfatta dei battaglioni russi in Donbass. Lo avevano fatto invece per i morti di Bucha, per le fosse comuni, per le esecuzioni e le torture, mettendo in dubbio le testimonianze dei sopravvissuti raccolte dalle decine di giornalisti andati sul campo a verificare le notizie, in alcuni casi spingendosi fino a negare le stragi dei civili ucraini, parlando di «attori e figuranti» in un disgustoso crescendo di negazionismo. È probabile che, superato lo choc iniziale e riordinate le idee, i tristi figuri ritornino a farsi vivi un poco alla volta per ricordarci quanto sciagurato sia l’Occidente che si è schierato contro gli invasori russi e dalla parte degli aggrediti. Per farlo potrebbero ad esempio aggrapparsi alle parole dell’86enne Papa Bergoglio per il quale siamo già entrati nella Terza guerra mondiale: «Non dimentico la martoriata Ucraina, ma bisogna fermare il conflitto». Peccato che il pontefice non abbia raccolto l’invito del presidente Zelensky che lo avrebbe voluto a Kiev in segno di vicinanza con un popolo che vive sotto le bombe da oltre sei mesi e che non certo scelto di imbracciare le armi dal giorno all’indomani. Avrebbe spazzato via le insinuazioni di chi pensa che il Vaticano sotto sotto si auguri una rapida vittoria della Russia. Insomma anche in questo caso l’orizzonte è la pax putiniana.