La legge prevede che per i figli o nipoti dei detenuti al 41 bis, appena raggiungono i 12 anni di età, scatta l’obbligo dei colloqui con il vetro divisore. Ora sul tavolo della Corte costituzionale arriva la questione di illegittimità costituzionale sollevata a seguito del reclamo avanzato dall’avvocata Barbara Amicarella del foro de L’Aquila per quanto riguarda un detenuto al cosiddetto carcere duro presso il penitenziario di Terni. Parliamo dell’ordinanza del magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi di Spoleto dove, abbracciando la linea difensiva, si ritiene illegittimo non consentire i colloqui senza vetro anche ai minori sino agli anni 14, sollevando quindi la questione alla Corte Costituzionale.

Il Dap, inseguito alla legge del 2009, ha disposto che colloqui senza vetro divisorio per minori fino a 12 anni

Ribadiamo che a 12 anni, i figli o nipoti dei detenuti al 41 bis diventano “maggiorenni”. Parliamo di una delle restrizioni che avvengono al carcere duro. Infatti, per i colloqui visivi con i figli minori, in seguito alla legge del 2009 la circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) aveva disposto che «i colloqui del detenuto in regime di 41 bis che si svolgano esclusivamente con figli minori di anni 12 potranno avvenire senza vetro divisorio, in sale colloquio munite di impianti di videoregistrazione (con ovvia esclusione del sonoro) e che, nel caso di colloqui con più persone, il colloquio senza vetro divisorio sarà limitato ai soli figli minori di anni 12, e non ecceda della durata complessiva del colloquio».

A 12 anni, dunque, il figlio risulta “adulto” e il colloquio deve essere effettuato tramite vetro divisorio. Però prima della legge del 2009 che inasprì il regime speciale, la restrizione era diversa: c’era la possibilità di effettuare una parte del colloquio visivo con i figli minori di anni 16 senza il vetro divisorio, per tutelare l’esigenza di affettività dei bambini nei confronti del genitore detenuto e per evitare che riportassero conseguenze psicologiche negative dovute al prolungato distacco dalla figura genitoriale.

Per il magistrato di sorveglianza ci deve essere una netta prevalenza dei diritti del minore sulle altre esigenze

Con l’ordinanza che solleva la questione di illegittimità costituzionale, non si ripropone l’innalzamento che vigeva prima del 2009, ma di elevare la soglia a 14 anni. Tale parametro viene ricavato da molteplici motivi, partendo principalmente dagli articoli 31 e 117 della Costituzione e quello della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, «per indirizzare – si legge nell’ordinanza - correttamente un giudizio di bilanciamento tra esigenze di sicurezza, massime per come detto, e diritti in gioco, una valutazione anche concernente il superiore interesse del fanciullo e dell’adolescente». Viene sottolineato che tale principio fondamentale, come noto, deve orientare il legislatore prima, e l’interprete poi, nel segno di una netta prevalenza dei diritti del minore sulle altre esigenze confliggenti, che già varie volte ha indotto la Corte Costituzionale a intervenire, ad esempio in materia penitenziaria, per rimuovere automatismi che ne impedivano il pieno esplicarsi in funzione della speciale pericolosità sociale dei genitori dei minori coinvolti.

L’ordinanza, quindi, osserva che il momento del colloquio visivo appare «come l’unico in cui il rapporto con il genitore può esplicarsi, se la persona e detenuta, e tanto più se lo è in regime differenziato, situazione nella quale nello stesso mese in cui si svolge un colloquio visivo non è poi possibile accedere neppure a momenti di dialogo telefonico, e comunque lo stesso tempo del colloquio visivo e limitato alia durata massima di un’ora». Viene, dunque, sottolineato che in questo contesto, quando il minore e infante o ancora nelle fasi dello sviluppo, il rapporto fisico con il genitore «acquista un ruolo anche intuitivamente centrale, non sostituibile da un dialogo che può non essere neppure possibile, con l’ostacolo del vetro, o comunque rivelarsi inefficace a sviluppare un rapporto umano già tanto compromesso dalla condizione detentiva».

Nel contesto penale i 14 anni costituiscono anche la soglia dell’imputabilità

Ma perché innalzarlo a 14 anni? Tale età costituisce un parametro in plurime occasioni adoperato dal legislatore a segnare una linea di demarcazione. Ad esempio non è un caso che, nel contesto penale, quell’età costituisca la soglia dell’imputabilità. Così come, e non appare in questo ambito di secondaria importanza, che quell’età coincide con la conclusione del ciclo di scuola secondaria inferiore. «Appare dunque più immediatamente comprensibile anche per il minore che il passaggio alla scuola superiore, e a una certa nozione di adolescenza piena, coincida con quello in cui si è trattati come gli adulti e, perciò, non si possa più spendere del tempo senza vetro con il genitore o il nonno detenuti», chiosa l’ordinanza.

Ecco perché, il quattordicesimo anno di età – rispetto ai 12 anni - si tratta di una soglia più facilmente ostensibile, anche nel caso della compresenza di più figli o nipoti, come nel caso in questione sollevato. Questi due anni in più, dunque, da un lato rispondono a una ratio già esplicitata dal legislatore penitenziario con la disposizione introdotta nell’art. 18 della riforma (indicando che una particolare cura deve essere dedicata ai colloqui con i minori di anni quattordici), ma dall’altro sono particolarmente utili a rendere maggiormente comprensibile il passaggio, comunque traumatico, in cui cessano i colloqui visivi con contatto fisico, spingendo in avanti il momento in cui si impone al minore questo sforzo, davvero arduo, di accettazione della regola. «L’età più adulta – osserva il magistrato nell’ordinanza - può in tal modo rendere meno drammatico il rischio, che altrimenti si corre, che sia il minore stesso, non abbastanza maturo per comprendere pienamente le ragioni del divieto, a percepirsi come causa dell’esclusione subita, con effetto potenzialmente assai negativo e certamente contrario al suo interesse cui occorre invece dare sempre priorità».

Ricordiamo che il vetro divisorio è stato introdotto al 41 bis per evitare un passaggio di pizzini o qualsiasi altro oggetto volto a dare ordini all’esterno. Innalzare a 14 anni l’età in cui tale misura si impone, non vuol dire abdicare alle esigenze di sicurezza citate, ma – sottolinea l’ordinanza – «affidarne la tutela agli ulteriori e diversi strumenti della video e audio registrazione, nonché dell’ascolto, del colloquio, che può essere interrotto in qualsiasi momento, a fronte di eventuali elementi di criticità».

Per questo e altro ancora, il magistrato di sorveglianza dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 41 bis comma 2 quater, lett. b), nella parte in cui dispone che il colloquio visivo mensile del detenuto in regime differenziato avvenga in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, anche quando si svolga con i figli e i nipoti in linea retta minori di anni quattordici, per violazione degli articoli 3, 27, 31 e 117 della costituzione, in rapporto alla parte 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e alla parte 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.